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Animali domestici sotto pressione

La veterinaria: «Aumentato il sovraffollamento nei canili. Il Covid si diffuso anche tra i gatti»

Hanno subito la pandemia anche gli animali domestici. La recente modifica dell’articolo 9 della nostra Costituzione, che introduce per la prima volta tra i principi fondamentali la tutela delle biodiversità e degli ecosistemi, spinge a una riflessione sul rapporto tra uomini e animali, una relazione antica e complessa, e sui diritti di questi ultimi. In particolare, qual è stata la condizione degli animali da compagnia durante gli ultimi due anni? Raramente ci si è soffermati sulla condizione dei nostri amici a quattro zampe durante il lockdown. Noi lo abbiamo fatto, intervistando la veterinaria Andreani che opera nel nostro territorio. Ci ha spiegato che anche nel suo settore, come in molti altri, è stato necessario adeguarsi alla situazione di emergenza. Soprattutto nel lockdown i proprietari non potevano accompagnare in ambulatorio i loro animali da compagnia, «pertanto molte visite sono state annullate, molti interventi posticipati e le vaccinazioni rimandate a tempi migliori».

Quale degli animali da compagnia ha sofferto di più? Non il cane ma il gatto, ha risposto, sorprendendoci, la dottoressa. È lui, infatti, l’abitante della casa più sensibile ai cambiamenti nella sua routine: anche la minima variazione può destabilizzarlo.

Costretti improvvisamente a trascorrere più tempo con i propri padroni in smart working o in quarantena, i gatti hanno vissuto la nuova condizione come fonte di stress che ha causato loro disturbi gastroenterici e all’apparato urinario. I cani, al contrario, hanno beneficiato
della presenza del padrone. Ma anche l’uomo ha tratto vantaggio dalle esigenze del proprio cane: con la scusa di portarlo fuori, il proprietario ha avuto un valido motivo per uscire di casa, anche durante le più severe restrizioni.

E il randagismo? «I ricoveri in terapia intensiva, i decessi o la bizzarra diceria sulla trasmissione del Covid tra animale e uomo hanno contribuito al sovraffollamento dei canili soprattutto nel sud d’Italia» dice Andreani. Dato che i sindaci erano totalmente impegnati a far fronte all’emergenza pandemica, il problema è stato affrontato, e in parte risolto, grazie all’impegno di volontari: sono loro che hanno prima trovato famiglie adottive e poi avviato staffette per consegnare gli animali ai nuovi affidatari, affrontando le molte difficoltà dovute alla limitazione degli spostamenti tra regioni. La notizia più interessante emersa durante l’intervista è che «nelle colonie feline si diffonde una forma di coronavirus completamente diversa da quella che contagia l’uomo, non trasmissibile né a lui né ad altre specie animali come si credeva in un primo momento». Attualmente non esiste un vaccino per combatterla, ma si spera arrivi al più presto. «Per la prima volta il percorso della ricerca scientifica potrebbe seguire il cammino opposto al solito: dalla sperimentazione sull’uomo alla cura per gli animali».

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