ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Francesco Severi di Arezzo (AR)

Uniti per sconfiggere il «mostro»

A trent’anni dagli attentati di Capaci e via d’Amelio, Falcone e Borsellino ci indicano la strada da seguire

Omertà, paura, minacce, morte: per anni la mafia ha svolto attività illecite all’ombra della legge, creando una rete di segretezza che le ha permesso di crescere e di radicarsi in molte città italiane. La mafia è questo e molto di più, fa parte della nostra storia e purtroppo anche del nostro presente. Ma c’è stato chi si è opposto al suo grande potere e ci ha indicato la strada da seguire perché a vincere siano la legalità e la giustizia.

Trent’anni fa, il 23 maggio 1992, fu ucciso in un attentato sull’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo il magistrato Giovanni Falcone e, nel luglio un’autobomba causò la morte del collega e amico Paolo Borsellino. Falcone e Borsellino, palermitani, sono stati due importanti magistrati che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro la mafia, scardinandone le fondamenta e accettando di mettere in pericolo se stessi in nome della giustizia. Hanno agito con coraggio, anche se spesso sono stati lasciati soli ad affrontare il “mostro”.

La loro morte ha però mosso le coscienze di tantissime persone, uomini, donne e ragazzi. Durante il funerale di Giovanni Falcone, infatti, i cittadini palermitani hanno iniziato a far sentire la propria voce; hanno promesso di portare avanti il lavoro iniziato da altri, educando i loro figli e sostenendo il valore della giustizia e hanno deciso che non avrebbero più chiesto come favore ciò che era dovuto loro come diritto. «Ci impegniamo a resistere, ponendo fiducia nella giustizia, alle sopraffazioni mafiose. Ci impegniamo a non dimenticare Giovanni Falcone e tutti i morti nella lotta contro la mafia e a ricordarli come nostri familiari per noi caduti».

Qualcosa stava cambiando e qualcosa è sicuramente cambiato in questi trent’anni: nelle scuole, gli insegnanti, formano ed educano i giovani alla legalità e le persone hanno iniziato a capire che chi sta in silenzio per paura diventa complice dei mafiosi. Per ribellarsi alla mafia c’è bisogno di uno sforzo collettivo, perché la criminalità organizzata può vincere solamente contro qualcuno che è costretto a combattere da solo. Se oggi possiamo contare su questa solidarietà condivisa, è grazie a coloro che hanno lottato contro la “piovra”: magistrati, giornalisti, sacerdoti, donne, uomini, ragazzi. Hanno capito da che parte stare. Proprio come Peppino Impastato che con la sua radio ha portato nelle case dei suoi concittadini la verità sull’orrore della mafia, Libero Grassi che si è rifiutato di pagare il pizzo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella e tanti altri eroi.

E ora tocca a tutti noi, in particolare a noi giovani, iniziare questa marcia per raggiungere il traguardo di un mondo più giusto, dove la piovra è solo un animale e la mafia un brutto ricordo.

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