ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria I grado Michele Rosi di Lido di Camaiore (LU) - 3A - 3D

Animali a rischio: la causa siamo noi

La storia si ripete: la sesta estinzione di massa è una minaccia concreta anche per l’uomo

Il 23 settembre 2019, all’assemblea generale dell’ONU (Organizzazione Nazioni Unite), Greta Thunberg ha denunciato che è in corso la sesta estinzione di massa, ovvero la scomparsa massiccia di numerose specie animali e vegetali per la sesta volta nella storia della terra.

Non è quindi la prima volta che accade: le altre cinque estinzioni però sono tutte avvenute prima della comparsa dell’uomo.

La più nota è la quinta, perché causò la scomparsa dei dinosauri. Niente di nuovo, quindi? Non esattamente, perché l’estinzione attuale ha dei caratteri unici dovuti a due fattori: il primo è che sta avvenendo a ritmi molto più veloci delle precedenti. Gli scienziati, infatti, calcolano che dall’anno 1500 sarebbero scomparse dal nostro pianeta tra il7,5% e il 13% delle 2 milioni di specie conosciute, e che tra il 2001 e il 2014 si sono estinte a livello globale circa 173 specie, quantità equivalente a 25 volte il tasso di estinzione medio. Il secondo fattore, ancor più importante, è che è causata principalmente dall’azione umana. Si tratta, infatti, di un fenomeno che è legato ai cambiamenti climatici. Tra le cause accertate ci sono anche l’inquinamento dovuto a insetticidi ed erbicidi, l’inquinamento luminoso, il boom demografico, agricoltura e allevamento intensivi, l’arrivo di specie invasive e i cambiamenti nell’uso del suolo.

Sono moltissime le specie animali a rischio: ad esempio, in Europa la foca monaca, in Ameri-ca il condor della California e l’armadillo; ancora, in Asia le tigri e il panda, in Africa l’elefante e il rinoceronte, in Oceania il diavolo della Tasmania, il dingo e il koala, in Artide e Antartide il beluga e l’orso polare.

Tutto questo è un danno anche per noi, perché l’umanità si affida alla biodiversità per la salute e il benessere. Per cercare di fermare la sesta estinzione di massa dobbiamo smettere innanzitutto di interferire con gli habitat naturali, fermando deforestazione, allevamenti intensivi, traffico e commercio della fauna selvatica. L’impegno nel nostro modo di vivere quotidiano è quello che già sappiamo di dover adottare per cercare di limitare l’inquinamento: prendere i mezzi pubblici, portare sulla nostra tavola cibi a “km zero” e di stagione, mangiare meno carne, limitare il consumo di acqua, di luce e di energia. Per fermare questa catastrofe servono sia tanti piccoli gesti che una diversa organizzazione dell’economia mondiale: ma c’è la volontà da parte di tutti di fare dei sacrifici per evitare guai maggiori?

 

Gli animali marini sono tra le specie a maggior rischio di estinzione. Balene azzurre, cavallucci marini, tartarughe, coralli… Tutti minacciati da attività umane quali reti a strascico, inquinamento da scarico delle navi, pesca incontrollata.

La minaccia più significativa arriva tuttavia dall’enorme quantità di plastica presente negli oceani. Gli scienziati stimano che ogni anno se ne riversino 15 milioni di tonnellate e, se non cambia nulla, la quantità dovrebbe triplicare entro il 2040. Il nostro pianeta è appeso all’amo della plastica perché l’industria continua a trovare sempre più modi per utilizzare questo materiale inquinante nella nostra vita quotidiana. Il problema è che gli animali marini ingoiano la plastica quando la scambiano per cibo o la inghiottono inavvertitamente mentre si nutrono o nuotano. Una volta ingerita, può ostacolare la loro digestione o lacerare il loro intestino, portandoli alla fame e alla morte. Quando poi vi restano impigliati, possono annegare, soffocare o subire traumi fisici come amputazioni o infezioni. Anche in questo caso è necessario modificare l’impostazione della nostra economia per evitare il disastro di un mare spopolato.

 

Abbiamo intervistato Giulia Guazzaloca, docente di Storia Contemporanea e Storia della Gran Bretagna dell’Università di Bologna, autrice di vari libri sulla storia della protezione degli animali, che ha ripercorso dal punto di vista socioantropologico dal ‘700 ad oggi.

Come si è interessata a questo argomento? «Facendo ricerche sulla storia inglese. In Inghilterra nell’800 nacquero le prime associazioni di protezione animali, anche se allora l’attenzione era più rivolta a problemi come povertà e analfabetismo. A inizio ‘900 studenti, operai, femministe iniziarono a protestare contro le crudeltà della vivisezione».

E invece in Italia? «Le prime società protezioniste furono finanziate dagli stranieri e operarono in modo abbastanza limitato. Oggi vi si trovano molte associazioni e si sono promulgate leggi sui loro diritti, quindi si potrebbe definire un cammino in evoluzione».

Come riassumerebbe il rapporto tra uomo e animali? «È fatto di contraddizioni. Gli animali entrano nelle nostre vite in modi diversi: per lo sport, come compagni, per alcuni quasi dei figli… si possono vedere volontariato, finanziamenti e tante altre cose positive».

La pagina è stata realizzata dalle classi 3^A e 3^D della scuola Rosi. 3^A: Giorgia Antonucci, Marco Bianchi, Morgana Bicicchi, Alessandro Bonuccelli, Noemi Castellano, Chiara Cecchi, Lorenzo Corfini, Giorgia Da Prato, Bianca Del Po, Elias El Arrasse, Dafne Evangelisti, Antonio Fontana, Elena Galanti, Leonardo Lari, Lavinia Lucarini, Filippo Martinelli, Morgan Menconi, Rebecca Monciatta, Eleonora Pardini, Nicholas Petri, Alice Sangalli. 3^D: Arianna Bacci, Lorenzo Bargagna, Alessandro Bernat Price, Ambra Bianchi, Ludovica Caprile, Eva Chelli, Cesare Coluccini, Martina Corsinelli, Maria Della Santina, Amanda Ferrari, Kevin Giannalia, Nicole Hurschler, Rami Jismy, Matilde Mastromei, Omar Raffaelli, Nicolò Santini, Giuseppe Simoni, Francesco Sportelli, Giulia Tumbiolo, Pier Luigi Vecoli.

Docente tutor: Alessandro Viti.

Dirigente scolastica: professoressa Sonia Imperatore.

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