Donne e diritti, la lotta va avanti
Un futuro senza discriminazioni: la ribellione delle iraniane riaccende la speranza in tutto il mondo
C’è ancora bisogno di parlare dei diritti delle donne? La risposta è sì. Nonostante la lunga lotta per il riconoscimento dei diritti abbia portato diverse conquiste, la strada per l’emancipazione femminile e la parità di genere è ancora lunga. In molti Paesi, alle donne sono ancora negate alcune libertà fondamentali, come quelle di studiare, lavorare, guidare un’auto, uscire da sole o mostrarsi come vogliono. E anche in Italia violenze e discriminazioni continuano a riempire le cronache.
Nel 1999 è stata istituita dall’Onu la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, rapite, violentate e poi uccise il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana. L’8 marzo viene invece celebrata la Giornata internazionale dei diritti delle donne, che quest’anno è stata dedicata a Mahsa Amini, una giovane ragazza iraniana uccisa perché, secondo la polizia morale, non indossava correttamente il velo. La morte di Mahsa ha indignato il mondo intero e dato vita a una rivoluzione nel suo Paese. In Iran migliaia di manifestanti si sono riversati nelle piazze per mettere fine a un regime che da anni opprime la vita delle donne. Prima di Mahsa altre donne hanno combattuto con coraggio per affermare i loro diritti.
Tra queste Manal al-Sharif, una ragazza dell’Arabia Saudita che voleva guidare la macchina, ma le regole religiose del suo Paese lo proibivano. Un giorno decise di infrangere quelle regole, prendendo in prestito la macchina del fratello. M mentre guidava fece un video che poi caricò su Internet. Manal fu arrestata, ma il video fece il giro del web: ispirandosi al suo gesto, le donne saudite sfidarono le autorità religiose guidando in strada. Altre ragazze hanno perso la vita nel tentativo di essere sé stesse, come Saman Abbas, uccisa per non aver accettato di sposare l’uomo che i propri familiari avevano scelto per lei.
Queste storie ci ricordano che il traguardo fissato dall’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 – l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze – è ancora lontano. Per raggiungerlo serve che la politica e le istituzioni facciano la loro parte. Occorre investire nell’istruzione, perché solo la conoscenza può aiutare le donne ad acquisire consapevolezza dei propri diritti. E anche noi, come cittadini e cittadine di domani, possiamo dare il nostro contributo per la realizzazione di un mondo più giusto, facendo sì che esempi come quello di Mahsa non cadano nel vuoto. Anche nel nostro Paese, purtroppo, violenze e discriminazioni di genere sono argomenti quotidiani. Nel 2022 sono stati ben 125 i femminicidi, mentre in questi primi mesi del nuovo anno se ne sono già registrati 20 (come quello di Martina Scialdone, 34enne romana, uccisa con un colpo di pistola dall’ex compagno).
Oltre alle violenze, le donne subiscono ancora discriminazioni in tanti ambiti, soprattutto in quello lavorativo. Si parla di «gender pay gap» per indicare la differenza salariale tra uomini e donne a parità di lavoro. In Italia, secondo i dati Eurostat del 2022, le donne hanno guadagnato, in relazione alla retribuzione oraria media, il 4,2% in meno degli uomini: un dato inferiore alla media europea, ma certamente da non ignorare.
Ma gli ostacoli per le donne, quando si parla di lavoro, non sono solo questi. Un tema importante è quello della maternità: otto donne su dieci dichiarano di aver subìto conseguenze negative sulla vita lavorativa dopo la nascita del figlio, motivate soprattutto dalla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia.
Questo perché in Italia le norme attuali sui congedi di maternità e paternità penalizzano le madri, facendo ricadere su di loro la maggior parte dei compiti di cura del bambino. Abbiamo intervistato Lia (nome di fantasia), mamma a 24 anni che ha dovuto conciliare lavoro e famiglia.
Com’è stata la sua esperienza lavorativa da mamma? «Sono andata in maternità anticipata perché il mio lavoro era molto pesante. Lavoravo in un’azienda alimentare di sole donne. Per il primo anno di vita del bambino mi hanno fatto fare gli orari che mi tornavano meglio, ma dopo mi sono trovata più in difficoltà perché il mio capo mi dava orari difficili da conciliare con il bambino e minacciava di licenziarmi se arrivavo in ritardo».
Le è stato chiesto se aveva intenzione di mettere su famiglia quando è stata assunta? «A me fortunatamente no, ma ad alcune ragazze più giovani assunte dopo di me sì».
Come potremmo aiutare le donne che non vogliono rinunciare né al lavoro né alla famiglia? «C’è tanto da fare. Occorre un cambio di mentalità da parte dei datori di lavoro, ma anche un intervento a livello politico.
Si sente dire che l’Italia è un paese vecchio, ma le coppie non vengono aiutate quando hanno intenzione di mettere su famiglia e il peso ricade in gran parte sulle mamme». Pagina realizzata dalla classe 2^ E della Secondaria di primo grado Buonarroti di Ponte a Egola: Viola Alfani, Mikaela Alicino, Manuel Balduccelli, Teresa Bernardini, Virginia Cacaj, Matteo Calamia, Giorgia Castellani, Edoardo Cerri, Clarissa Costa, Meryam Farah, Melissa Farigu, Luca Gazzarrini, Duccio Lapini, Denise Lorenzo, Flavio Lupi, Ginevra Mantelli, Costanza Nacci, Vittoria Pacella, Andrea Poletto, Gemma Puccioni, Emma Rasori, Miriam Salvadori, Federico Telleschi.
Docente tutor Andrea Nelli. Dirigente scolastica Graziella Costanzo. LA REDAZIONE