ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

L’uomo sopravvissuto ad Auschwitz

L’intervista immaginaria allo scrittore Primo Levi, uno dei maggiori portavoce dell’Olocausto

In questa intervista immaginaria, abbiamo voluto porre al sig.

Primo Levi alcune domande riguardanti la sua più cruda e orribile esperienza. Primo Levi ci accoglie nella hall di un elegante albergo di Milano. Tra vetrate stile Liberty ed eleganti poltrone in velluto rosso, il protagonista del nostro incontro è seduto su una di queste ultime e sorseggia un caffè.

Buongiorno signor Levi, grazie per aver accettato questa intervista “Buongiorno a voi e di nulla. Mi fa piacere divulgare ciò che è stata non tanto la mia vita, quanto la mia esperienza”.

Conosciamo tutti quali atrocità si siano consumate nei campi di concentramento, ma come è stato viverle in prima persona? “E’ stata un’esperienza a dir poco agghiacciante e terribile. Ricordo che arrivammo ad Auschwitz (ero già reduce da una permanenza al campo di Carpi), su un treno colmo di persone ammassate le une contro le altre.

La prima cosa che vidi fu l’insegna che campeggiava all’entrata del campo: “Il lavoro rende liberi” (Arbeit macht Frei).. fummo separati da mogli, figli, mariti e persone care. Questo veniva fatto sempre all’arrivo e in qualsiasi campo di concentramento. Era una sorta di prima selezione. Poi guardavano chi potesse rimanere e chi invece…“

Poi cosa avvenne? “Ci fecero spogliare e indossare una divisa e in seguito fummo condotti in un capannone. Lì le condizioni erano pessime: né cibo, né acqua e scarse o nulle le condizioni igieniche. Ricordo che era proibito commettere errori. Se succedeva i nazisti non andavano per il sottile: fucilati!”

Lei è riuscito a salvarsi. Ci può raccontare in che modo? “Beh, intanto grazie al poco tedesco che conosco e che mi ha permesso di comprendere gli ordini impartiti e poi grazie ai miei studi di chimica poiché fui selezionato per essere messo al lavoro in un laboratorio. Fui fortunato perché almeno potevo stare al caldo e relativamente al sicuro. Nonostante ciò ero divorato dal senso di colpa per i miei compagni che versavano in condizioni inumane, costretti a lavorare al freddo e perennemente in pericolo di vita.”

Se ve ne è uno in particolare, qual è il ricordo più brutto della sua prigionia? “Nessuno di quei ricordi può essere migliore di altri. Quello però più atroce per me è quando i prigionieri venivano portati nelle camere a gas con la scusa di fare una normale doccia. A dir poco disumano”.

Poi arrivarono gli alleati a liberarvi…
“Sì, non potevo crederci e ringraziai Dio per essere ancora vivo!”.

Votazioni CHIUSE
Voti: 6

Pagina in concorso