ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

La lezione delle storie a noi vicine

Sabina, padre russo e madre moldavo-ucraina, e Ermin, nato dopo la guerra tra Bosnia-Erzegovina e Serbia

Ci sono viaggi che cambiano la vita, viaggi che ti danno la possibilità di scoprire la forza e il coraggio di uomini e di donne.

Quest’anno abbiamo scoperto il coraggio e la forza della mamma e del papà di due nostri compagni.

«Mi chiamo Sabina sono figlia unica, ho il padre russo e la madre moldavo-ucraina e parlando di viaggi il mio è iniziato il 28 aprile del 2017 a Edine, una città situata nel nord della Moldavia.

Quando avevo circa 3 anni, io e la mia famiglia ci siamo spostati in Russia per il lavoro di mio padre ma dopo poco tempo, a causa della separazione dei miei genitori, siamo tornati a vivere in Moldavia. Dopo l’indipendenza della Moldavia dalla dell’Urss, tutti i beni accumulati dai miei nonni persero quasi completamente valore, motivo che spinse mia madre a cercare fortuna in un altro paese. La prima tappa del viaggio di mia madre è stata Venezia nel 2014. Questo paese così bello, così lontano e così affascinante nascondeva delle insidie: problemi linguistici ed economici, dato che lavorava per mantenere se stessa, ma era costretta a mandare dei soldi anche a me e mia nonna in Moldavia. Dopo tanti sacrifici e lunghi processi giuridici, finalmente nel 2017 ho potuto intraprendere il mio viaggio per arrivare in Italia: anche io riempivo la mia valigia di sogni e speranze. Mia madre aveva trovato un nuovo compagno con il quale costruire una famiglia ed io finalmente potevo assaporare la tranquillità del mare in bonaccia. Avevamo imparato a credere nei sogni». «Mi chiamo Ermin e sono nato nel 2008 fortunatamente 13 anni dopo la fine della guerra che ha coinvolto il mio paese. Sono cresciuto sentendo parlare della guerra: quella tra la Bosnia-Erzegovina e la Serbia, sono cresciuto con il racconto di donne che scappavano con i propri figli per cercare un po’ di pace, altre si nascondevano nelle soffitte, nelle cantine, nei rifugi, e tra questi c’erano i miei genitori.

Mia mamma veniva nascosta nel fieno per non essere uccisa dagli ’assassini’: così i bosniaci definivano i serbi, mentre i suoi genitori andavano a procurarsi il cibo e le coperte perché in quel periodo si arrivava fino ai -10 gradi, si combatteva per sopravvivere. Mio padre invece veniva svegliato dalle cannonate nel cuore della notte e dovevano scappavano nei rifugi antiaerei, la scuola in questo periodo non veniva tralasciata, un maestro insegnava in una cantina con bambini di età diversa, l’anno scolastico durava qualche mese. Poi mio padre un giorno aprì la sua valigia e la riempì di speranza e coraggio e intraprese il suo viaggio in Italia, un viaggio che gli regalò un futuro migliore sia a lui che a tutti noi».

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