Buongiorno a tutt*: la lingua che include
L’evoluzione dell’italiano spiegata da un’esperta: Vera Gheno, accademica, linguista e traduttrice
«Buongiorno a tutt*». Sempre più spesso leggiamo simboli come un asterisco o lo «schwa» («ә») come elementi di inclusione linguistica. Abbiamo voluto capirne di più insieme a Vera Gheno, accademica, linguista e traduttrice italiana.
Lei sostiene lo schwa? «Non ne sono una grande fan, condivido però le idee di chi lo apprezza e sta cercando la visibilità anche linguistica. Questo non vuol dire non vederne i difetti, ma cercare di essere più neutri possibile. Perché io sia diventata la paladina dello schwa è indipendente dalla mia volontà : viviamo in un mondo che cerca eroi e antieroi, per questo sono diventata un po’ il simbolo di questa ricerca».
Secondo lei questo fenomeno prenderà il sopravvento? «Non parlerei di sopravvento, nel senso che non può e non deve erodere il dominio del maschile o del femminile. Serve in una serie di casi specifici: per un insieme di persone di cui non conosco il genere o quando ci si riferisce a una persona che non si riconosce nel maschile o nel femminile. In un’ottica futura però non penso che si potrà trovare nelle grammatiche: è un simbolo, un’evidenziazione dell’esistenza di una ricerca. Tuttavia lo schwa non è la soluzione definitiva: è la manifestazione di una necessità ».
Come incentivarne la diffusione?
«Come con tutte le rivendicazioni sociali, la cosa più importante è agire in prima persona: uno può cambiare i propri costumi linguistici senza però evangelizzare la gente. Semplicemente lo fa e facendolo fa sì che gli altri si pongano degli interrogativi. Il linguaggio inclusivo non è solo lo schwa, che rientra invece in un pensiero molto più grande, che tiene conto di persone con disabilità , neurodiversità , con colori, culture, orientamenti sessuali eterogenei, ecc. Il linguaggio inclusivo è trasversale, prestando attenzione alle persone attorno a noi».
Come mai la nostra che è una lingua romanza (deriva dal latino) non ha mantenuto il caso neutro? «Evidentemente nel corso dei secoli non è stato ritenuto utile, però ricordiamoci che il neutro latino non ha nulla a che fare con la ricerca attuale: era riferito in modo esclusivo a oggetti inanimati e concetti astratti, quindi non a persone. Per qualche motivo, i parlanti non hanno ritenuto necessario continuare a usarlo».
Il linguaggio può aiutare a combattere gli stereotipi di genere? «Penso di sì: con le parole possiamo anche cambiare l’idea sulle cose e soprattutto sulle persone; il modo in cui chiamiamo gli altri non è indifferente. Chi dice che le parole non contano niente, di solito non fa neanche altro per migliorare il mondo».