ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

IC Poliziano di Firenze (FI) - 2B - 2C

Un nuovo inizio è possibile

Breve storia del carcere dall’antichità a oggi: dalla punizione ai percorsi di recupero

Oggi pensiamo al carcere come un luogo in cui vengono rinchiusi gli individui che commettono reati, ai quali viene tolta la libertà, imposte restrizioni, ma ai quali viene anche offerta la possibilità di ricostruire la propria esistenza. Eppure non è sempre stato così. Fin dall’antichità il commettere un reato portava a dover subire una punizione; essa prevedeva frequentemente pene corporali, cioè sofferenze del corpo, determinate da parte di chi aveva subito l’offesa. Ancora fino al Medioevo, lo Stato non aveva tra i suoi poteri quello di erogare punizioni, mentre la funzione del carcere era solo quella di custodire il colpevole per evitarne la fuga. Secondo l’idea di giustizia medievale, la privazione della libertà personale non veniva considerata una pena effettiva e proporzionata. Nel XVI secolo nacquero diverse forme di sanzione, che avevano la caratteristica di sfruttare la forza lavoro che i detenuti offrivano, senza pagamento di salario.

Con l’affermarsi dello Stato Nazionale la giustizia divenne un fatto pubblico e perciò di competenza dello Stato: le pene corporali, soprattutto l’esecuzione pubblica, furono lo strumento più adatto per mostrare chi de-teneva il potere. Tra la metà del XVII e fino al XIX secolo, avvennero importanti cambiamenti relativi al concetto di carcere e pena. In Europa si contrapposero due posizioni diverse che, pur partendo da diversi presupposti, giunsero a considerare una doppia funzione della pena: da una parte essa è la retribuzione al reato commesso (pena afflittiva); dall’altra essa ha la funzione di prevenire. La contrapposizione tra queste due scuole fu risolta solo nel 1936, con il Codice Penale Rocco, che applicò il sistema sanzionatorio del «doppio binario»: la pena inflitta aveva sia una  funzione retributiva del reato, sia quella di prevenzione del comportamento criminale attraverso la rieducazione del soggetto. Alla fine del XIX secolo, le pene capitali erano state abolite in quasi tutti gli Stati europei e le pene corporali vennero sostituite con la detenzione. Nel 1975, con la Riforma penitenziaria, anche l’Italia introdusse la possibilità di variare e graduare la pena nel corso dell’esecuzione e inserì elementi rieducativi, come il lavoro, l’istruzione, le  attività culturali ricreative e sportive. Lo scopo della rieducazione carceraria è il reinserimento del soggetto alla vita sociale, attraverso l’accettazione e la comprensione delle norme precedentemente violate. La rieducazione rappresenta la «seconda possibilità» che ogni soggetto dovrebbe avere per riuscire a realizzare se stesso.

 

A Firenze, «finire alle Murate», significava essere arrestato e andare in carcere. Dietro a questa espressione c’è una lunga storia: il complesso delle Murate, infatti, è stato il vecchio carcere fiorentino dal 1883 al 1983. Nel 1400 l’edificio era un monastero di monache di clausura. Le religiose che vi abitavano fecero murare tutte le porte per non avere contatti con l’esterno e non poter più uscire. Da qui l’origine del nome. Nell’800 divenne una caserma, poi una fabbrica di fuochi di artificio e infine, il carcere. In celle di circa 9 metri quadrati, i detenuti dormivano su tavole ricoperte di paglia con un lavandino ed un wc. Così rimase fino al 1983, quando fu chiuso e i circa 600 detenuti allora reclusi furono trasferiti nel nuovo carcere di Sollicciano. La nuova sede, fuori dalla città, acquistava un valore simbolico di allontanamento sociale. Gli spazi dell’antica prigione furono trasformati e oggi la vita è tornata a scorrere in questo luogo di clausura. La struttura principale ospita, ai piani superiori, 73 abitazioni, mentre le due piazze e il cortile dove i detenuti trascorrevano le ore d’aria, si sono riempiti di locali: un caffè letterario, una pizzeria, uffici. Al centro di tutto una fontana che, con i versi di Federico Garcia Lorca, ci invita a fermarci, a riscoprire l’essenza della vita e a sognare.

 

Cos’ è un carcere minorile? «Le carceri minorili si chiamano Istituti penali per i minorenni e sono luoghi dove, oltre a scontare una pena o attendere il giudizio, i ragazzi vengono guidati in un percorso di recupero».

Che età hanno i ragazzi che entrano in un istituto carcerario? Qual è il percorso che fanno prima di accedervi? «Un ragazzo può essere portato in un istituto penale a partire dai 14 anni; la sua permanenza può protrarsi fino ai 25 nel caso di una pena più lunga. Il minore appena arrestato viene portato nel centro di prima accoglienza e solo successivamente può essere trasferito nell’istituto, se lo decide il giudice».

Qual è il reato più frequente? Quanti detenuti ospitate? «Alcuni ragazzi commettono reati molto gravi come gli omicidi, ma principalmente illegalità come spaccio, furti e violenze.

Attualmente a Firenze ci sono 14 ospiti di tante nazionalità diverse».

In base alla sua esperienza, sa dirci se effettivamente la rieducazione cambia la mentalità dei ragazzi? «In buona parte dei casi si registra un cambiamento positivo, ma purtroppo non è sempre così. Tutti dovremmo aiutarli di più quando escono». 

Votazioni CHIUSE
Voti: 398

Pagina in concorso