ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

IPM di Pontremoli (MS)

Sai il significato della parola Hikikomori?

E’ un problema diffuso in primis in Giappone ma che è sbarcato anche nel nostro paese e coinvolge purtroppo tanti, troppi giovani

Oggi è un fenomeno sociale; il suo significato è “restare in disparte” e indica chi decide di isolarsi perché ha paura del mondo esterno, chi si chiude in se stesso, in casa o addirittura nella propria camera, tanto da non avere più relazioni sociali.

L’isolamento diventa patologico se la persona rimane in casa per un periodo superiore ai sei mesi. Tendenzialmente il problema si manifesta nella fase dell’adolescenza, ma può interessare anche adulti e bambini.

Chi soffre di questa patologia ha sicuramente una predisposizione genetica ma subentrano anche altri fattori: individuali, familiari e sociali. I fattori individuali sono bassa autostima, vergogna e timidezza, fobia sociale (la paura di stare in mezzo alla gente) e disturbi mentali; quelli familiari riguardano gli abusi e maltrattamenti subiti dai propri genitori ma soprattutto la mancanza di empatia. I fattori sociali si riferiscono al mondo virtuale, uso eccessivo di videogames, tossicodipendenze, episodi di bullismo. Le pressioni di realizzazione sociale sono invece una causa sia familiare che sociale, conseguenza di una forte competitività. Infatti la maggior parte degli hikikomori appartiene a famiglie benestanti e molto spesso è figlio unico; subisce quindi la pressione delle aspettative genitoriali. Solitamente sono ragazzi molto intelligenti che non hanno problemi a livello scolastico ma poco in comune coi compagni di classe.

Anni fa il problema era presente solo in Giappone; infatti la cultura nipponica è caratterizzata da una forte repressione emotiva, la popolazione è particolarmente anaffettiva e abituata a nascondere i propri sentimenti anche alle persone care, come i genitori. Si contano oggi circa 500000 casi accertati, ma il numero potrebbe arrivare ad un milione (1% della popolazione nipponica). Negli ultimi anni questo problema si è esteso anche in Italia (circa 100000 casi) e si sta diffondendo in tutto il mondo. La situazione si è particolarmente aggravata a causa della pandemia e dell’isolamento che ne è derivato e non ultimo dall’uso, anzi abuso, della rete, dei social media e dei videogames. Come aiutare un hikikomori che crede di non aver bisogno di aiuto? Sicuramente è indispensabile il sostegno e la partecipazione di entrambi i genitori e non solo della madre, come spesso accade; necessario è anche il supporto di un esperto che media fra le aspirazioni del figlio e le aspettative genitoriali: la strada che il figlio vorrà percorrere potrebbe non corrispondere al loro modello di vita ideale. Il terapeuta, nel caso di manifestazioni di sindromi paranoidi, può anche prescrivere una terapia farmacologica. L’esperto Marco Crepaldi ha aperto un sito dedicato www.hikikomoriitalia.it, in cui è possibile reperire informazioni utili. Inoltre ogni regione ha un responsabile contattabile tramite il sito. Infine da segnalare è l’associazione Ama Hikikomori, che ha sede a Forlì e nasce dall’unione di famiglie con figli che hanno vissuto o vivono questa situazione.

 

Questa è la storia di Riccardo (nome di fantasia): la sua vita è stata segnata da problemi di salute e di conseguenza da molteplici ospedalizzazioni. Questo forzato allontanamento dalla vita sociale è stato amplificato a causa del suo carattere estremamente introverso. Ad aggravare la situazione ha contribuito la famiglia focalizzata nelle loro aspettative:avereunfiglioestroverso e atleta professionista. Inoltre i genitori non erano empatici e sdrammatizzavano la situazione personale del figlio, che non si sentiva compreso anzi, veniva quasi deriso. La derisione continuava all’esterno: subiva atti di bullismo proprio per questo suo essere schivo. Un altro esempio, preso dalla stampa, è quello che ha coinvolto addirittura un’intera famiglia: è il caso successo in Puglia, dove padre, madre e figlio sono stati isolati per più di due anni e mezzo, persi nel mondo virtuale. Questa famiglia è sopravvissuta grazie alla figlia di nove anni, che, nel tragitto ca-sa- scuola, comprava alimenti per tutti; purtroppo la bambina sceglieva solo merendine e biscotti, per cui la famiglia è stata trovata in condizioni di grave malnutrizione. A questa reclusione volontaria fa eco il messaggio di una ragazza dell’Istituto Penale Minorile di Pontremoli: “Io sono obbligata a stare lontana da tutte le persone che amo perché ho fatto degli sbagli; ma tu che puoi esci all’aria aperta e respira la libertà”.

Questa pagina è stata elaborata dalle ragazze ospiti dell’Ipm di Pontremoli, con il contributo delle docenti Furia Federica, Procuranti Paola, Magni Ambra e Ferrillo Maria e l’aiuto della psicologa dell’Istituto, Sabrina Piccinini, che ha illustrato alle ragazze le specificità tecniche dell’argomento, ricorrendo anche ad esempi concreti (storia di Riccardo, menzionato nell’articolo). Le due foto sono state scaricate da internet.

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