ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Primaria Altobelli di Venturina Terme (LI) - 5A

«Non dite mai che non ce la farete»

Una nonna ci racconta la voglia di vivere e di sperare nonostante le gravi difficoltà che ha attraversato

Una nonna ci racconta la voglia di vivere e di sperare nonostante le gravi difficoltà che ha attraversato. Le classi 5 A e 5 B hanno intervistato una maestra della scuola primaria Altobelli che a luglio ha incontrato Liliana Segre al lago di Selva dei Molini in Trentino Alto Adige. «Mi trovavo sulla sdraio sulle sponde del laghetto quando è arrivata una macchina blu da cui sono scesi due uomini eleganti che accompagnavano un’anziana signora che ha incuriosito subito mio marito. Lui l’ha riconosciuta subito e mi ha chiamata. Quando mi sono avvicinata ho capito che era veramente lei e mi sono emozionata». Mentre la maestra racconta le si illuminano gli occhi. «Le chiedo di poter fare una videochiamata con i miei figli che ormai sono grandi e a scuola hanno sentito parlare tanto di lei ma le guardie del corpo me lo proibiscono perché ci sono delle persone che anche oggi, dopo così tanto tempo, vogliono eliminarla come testimone scomoda. Sembra impossibile che anche al giorno d’ oggi ci siano ancora delle persone che vogliono farle del male. Liliana mi spiega che è venuta in montagna con alcune amiche, ma lei non gioca a carte il pomeriggio con loro per non metterle in pericolo» racconta Patrizia. «Le spiego che sono un’ insegnante e che a settembre racconterò del nostro incontro ai miei alunni. Liliana mi parla della sua sofferenza come studentessa per essere stata espulsa dalla scuola a 8 anni perché era ebrea. Dice di apprezzare molto gli insegnanti che hanno il ruolo di educare e formare le nuove genera-zioni. Poi inizia il suo racconto: a 13 anni fu trasferita nel campo di concentramento di Auschwitz dove le persone avevano fame di vita e non rinunciavano a sperare che tutto finisse. Sebbene vivessero in condizioni disumane, patendo il freddo e la fame, e lavorassero tutto il giorno nelle fabbriche speravano che le cose cambiassero e di riprendere la loro vita con le loro famiglie nelle loro case. Nessuno nel campo di concentramento si è suicidato, tutti hanno voluto vivere e anche lei, quando ha avuto occasione di afferrare una pistola ed uccidere il suo aguzzino, ha rinunciato alla vendetta scegliendo la vita. Poi mi dà un consiglio: quest’anno invece di parlare di me e della Shoa, a scuola, con i bambini, parlate degli “esclusi” che ci sono ancora nella nostra società; quelli che restano in disparte, nell’ombra dell’indifferenza di chi ogni giorno è lì vicino, ma non li vede, non li considera e manda avanti la propria vita. L’indifferenza è peggio della violenza perché quest’ultima si può riconoscere e difendersi da essa, mentre essere indifferenti è come non esistere, essere un fantasma che vede gli altri vivere, ma di cui nessuno si occupa».

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