ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Valdarno, la terra dei…Gabbiani

La classe ha partecipato al Premio Giuliano Pini. Intervista alla moglie del pittore che raccontava l’uomo

La bellezza e l’arte ci salveranno e per questo, chiamandoci Masaccio, ci siamo appassionati al Concorso Mutar d’ali promosso dall’Istituto Superiore “Benedetto Varchi”. Bisognava illustrare la poesia Gabbiani di Vincenzo Cardarelli e, quando ci hanno spiegato il collegamento con Giuliano Pini, famoso anche in Valdarno, ci siamo interessati all’autore al quale è dedicato il Premio. Da cronisti curiosi, allora, perché non chiedere un’intervista alla moglie? E Roberta Romanelli Pini ha risposto volentieri alle nostre domande.

Mutar d’ale è stato un modo per avvicinarci all’arte. Suo marito partecipava a progetti con le scuole? «Il concorso si inserisce nella 5° edizione di un Premio – Leggende, miti, racconti” – istituito nel 2017 dal Comune di Cavriglia, dopo la morte di Giuliano. Ogni anno affronta un tema diverso e per il 2022 ha preso spunto da un testo intitolato come il famoso verso dannunziano Mutar d’ale. Giuliano non ha mai svolto percorsi con le scuole, non previsti in passato, ma è sempre stato vicino ai ragazzi per aiutarli a crescere com’era stato aiutato lui da giovane».

Suo marito quando ha incontrato l’arte? «La sua infanzia è stata molto dura. A soli undici anni aveva già perso la madre, tre sorelle e viveva con le zie. Si isolava disegnando cowboy, indiani o le moto su qualunque superficie, con una mano e un’attitudine eccezionali, doni di natura. Difficile anche il cammino scolastico ma non ha mani smesso di studiare musica, pittura e letteratura. Da ragazzino faceva il benzinaio e disegnava mentre lavorava. Un giorno fu notato da un vigile urbano che lo fece incontrare con un suo amico pittore e quest’ultimo lo paragonò per la ‘mano’ ad Andrea Del Castagno».

Quali erano i soggetti preferiti di Giuliano? Dipingeva di getto o partiva da fotografie, da uno studio precedente? «“Il soggetto prediletto era l’uomo. Amava i ritratti dal vivo, ma immaginava le persone, disegnandole sempre con realismo.

Prima tratteggiava le figure a lapis e poi usava i colori a olio».

Le ha mai dedicato un’opera o un ritratto? «Compaio a volte nei quadri.

Molti dicono che negli occhi di chi ritraeva c’ero io. Talvolta mi faceva la caricatura. Era serio nel lavoro, mai serioso».

L’opera più bella? «Non esiste per me ma tante mi stanno a cuore. Specie quelle che ha voluto finire dopo aver perso la funzionalità della parte destra del corpo. Era grande anche usando solo la mano sinistra». Nel ringraziare la signora Roberta aggiungiamo che un alunno della Masaccio, Tommaso Gabellini della 3B, ha ricevuto nel concorso una menzione speciale per la sua interpretazione molto originale di Gabbiani.

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