ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Il giorno in cui arrivò la crudeltà

Le leggi razziali, le discriminazioni, i diritti negati, il dolore. Il toccante racconto di Elena Servi

Elena Servi è una delle pochissime donne che sono riuscite a sfuggire ai campi di concentramento, grazie all’aiuto di cittadini di Pigliano che hanno trovato la forza e il coraggio di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. Abbiamo avuto la fortuna di poterla incontrare, di ascoltarla e farle molte domande in occasione del Convegno «La dimensione dell’esclusione.

Le discriminazione razziale del regime fascista», organizzato dall’Isgrec, a cui anche la nostra scuola ha partecipato. Il suo racconto, semplice e diretto, ci ha emozionato.

La sua vita procedeva serena: nel piccolo borgo di Pitigliano tutti si conoscevano, nulla sembrava poter turbare la vita quotidiana della famiglia Servi. Ma, quando aveva soli otto anni, un evento segnò per sempre il corso della su vita. «Avrei dovuto fare la terza elementare e mio padre mi disse: Quest’anno non andrai a scuola. Non me ne capacitavo. Chiesi che cosa avessi fatto: Io non ho fatto nulla, perché non posso andare? Questa domanda rimase e rimane, senza risposta».

Era il 1938, in Italia erano state promulgate le leggi razziali: gli ebrei non potevano più frequentare le scuole pubbliche, non potevano più insegnare, il padre di Elena Servi, che era stato decorato come soldato della prima guerra mondiale, dovette uscire dall’associazione combattenti. I Servi non potevano più entrare nei negozi, nei cinema, nei locali. Ma fu nel ’43 che la situazione precipitò. «Arrivarono i nazisti e fummo costretti a fuggire. Ci aiutarono le famiglie di Pitigliano e per non metterle a rischio ci rifugiammo in una grotta». Poi arrivò l’aiuto di un fattore della tenuta di Mezzano, che, di nascosto, portava il cibo alla famiglia Servi. Un uomo che non aveva aderito alla logica dell’esclusione: le leggi razziali, infatti, avevano come scopo l’allontanamento, l’esclusione di tutti coloro che erano considerati diversi e sbagliati. Ma Elena Servi non ha mai davvero odiato chi le ha fatto del male, perché l’odio fa male soprattutto a chi lo prova. Una sola volta, quando, in fuga, camminando sulla neve dietro a sua sorella, le vide la della gamba gonfia e viola per il freddo. In quel momento, ricorda, si chiese il perché di tanto odio e provò rancore per chi stava facendo del male alla sua famiglia. Questa semplice immagine è quella che, forse, ci ha colpito di più del suo racconto e che ci ha ispirato una breve poesia, che vorremmo dedicarle. « Quella lunga vena, che si avvolgeva attorno ad un corpo privo di vita, come lo spoglio ramo di un esile albero un giovine fuscello che si aggrappa follemente all’ ultimo squarcio d’anima rimasta in quel pezzo di carne martoriato dalle fiamme di un odio incosciente».

Per Elena Servi, grazie.

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