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Penetola, una strage e un mistero

Le vittime vennero rinchiuse in casa e poi fu appiccato il fuoco. Morirono 12 innocenti, tra cui molti bambini

Per noi di Umbertide la strage di Penetola è un fatto noto, ma ancora ci sono troppi misteri e incertezze riguardo a questo evento. Nella versione ufficiale la colpa è attribuita ai Tedeschi, ma ne siamo certi? Solitamente, le rappresaglie tedesche erano fatte di giorno e con la fucilazione, invece, in quella notte tra il 27 e il 28 giugno 1944, le vittime vennero rinchiuse in casa e poi fu appiccato il fuoco.

Le famiglie di mezzadri che vivevano nel casolare erano gli Avorio (i nonni e gli zii della nostra dirigente) e i Luchetti. Loro poi avevano ospitato Speranza Luchetti con la sua famiglia e altre due famiglie di sfollati: i Nencioni e i Forni. Vivevano quindi nel casolare ben 24 persone. I tre fratelli Renato, Carlo e Antonio Avorio, di 14, 8 e 11 anni, persero la vita; Carlo e Antonio, che cercarono invano di scappare, furono ritrovati carbonizzati, ancora abbracciati. Chi si affacciava alle finestre era colpito con raffiche di mitra e furono anche lanciate granate all’interno del casolare. I superstiti della strage furono dodici e, degli sfollati, si salvò solo Giovanna Nencioni, una bambina di 6 anni. Questo fatto conferma l’ipotesi che la strage sia stata ordita proprio da mandanti locali per colpire le famiglie degli sfollati, notoriamente antifascisti.

La rappresaglia si può escludere anche perché tra i tedeschi appostati là vicino e le famiglie che abitavano a Penetola c’era un rapporto amichevole: addirittura, due giovani sentinelle chiamavano Dina Avorio “mutti”, che in tedesco significa “mamma”. Inoltre, non c’erano stati in zona attacchi da parte dei partigiani ai nazisti. Infine, Mario e Dina Avorio furono soccorsi proprio dai soldati tedeschi e da loro condotti, con grande rischio perché sotto i bombardamenti, all’ospedale di Città di Castello per essere curati. Un altro fatto che insospettisce è che i due ricoverati ricevettero delle visite da alcuni ufficiali tedeschi che chiesero loro informazioni sull’accaduto. In ricordo dei defunti, a trent’anni dalla strage, nel casolare è stata posta una lapide con i nomi delle vittime e la seguente frase “Innocenti, furono arsi vivi dalle orde nazi-fasciste in fuga”.

Sulla strada che conduce a Mercatale si può vedere anche un cippo in cui è scritto: “Non odio chiediamo a chi resta, soltanto memoria, perché altri non debban morir per mano assassina”. Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo contribuito a far sì che la memoria di questa strage non si perda.

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