L’istruzione, un diritto non per tutti
Studiare non significa solo imparare nozioni, ma stare con gli altri in comunità e vivere nel rispetto reciproco

Uffa, la scuola! Chi non ha mai pronunciato questa frase? Tutti sentiamo il peso della scuola e a volte abbiamo poca voglia di studiare, sappiamo però che la scuola è importante e il nostro pensiero va a tutti quei ragazzi che a scuola non ci possono andare. Sappiamo che studiare non significa solo imparare delle nozioni, a scuola si impara a stare con gli altri in comunità, a vivere nel rispetto reciproco. A scuola ci mettiamo alla prova, lavoriamo per raggiungere degli obiettivi e veniamo gratificati in base all’impegno dimostrato.
Tutto quello che impariamo in classe contribuirà a creare gli uomini e le donne che saremmo domani, ci permetterà di essere più consapevoli dandoci la possibilità di fare scelte consapevoli per il nostro futuro, di conoscere i nostri diritti e lottare per difenderli e rivendicarli. Per questi motivi il diritto allo studio è considerato uno dei diritti fondamentali e inalienabili della persona, sancito nel diritto internazionale dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu già dal 1948.
Nell’articolo 26 si afferma, infatti, che «L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Il diritto all’istruzione viene anche ripreso negli articoli 28-29 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Onu nel 1989 aggiungendo che «le metodologie adottate devono tutelare i diritti dei bambini e proteggerli da ogni forma di violenza». «Fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti» è anche il goal 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei Paesi membri delle Nazioni Unite e costituita da 17 traguardi da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.
Purtroppo, siamo ancora molto lontani dal raggiungere questi obiettivi perché l’istruzione è un diritto ancora negato in molti paesi, soprattutto in quelli in via di sviluppo. Sono infatti milioni i bambini e i ragazzi nel mondo che non frequentano la scuola, molti di loro sono completamente analfabeti, di questi più della metà sono femmine.
Quali i motivi? Soprattutto l’estrema povertà e le guerre, ma anche la conformazione del territorio, la mancanza di strutture, i pregiudizi culturali. Molti paesi sono dilaniati dalle guerre, le scuole sono costose o troppo lontane da raggiungere e le famiglie, sopraffatte dalla miseria, sono costrette a mandare i figli a lavorare fin da bambini. E per le ragazze la situazione è ancora peggiore.
Quando i nostri nonni e bisnonni erano ragazzi non c’era il computer e la scuola era molto diversa da oggi. Le lezioni si svolgevano al mattino per quattro ore; c’era un unico insegnante per tutte le materie: italiano, matematica, storia e geografia, scienze, religione. Non si studiavano l’inglese e le altre lingue straniere ma si insegnavano la bella scrittura, i lavori manuali ai ragazzi, il ricamo e il cucito alle ragazze. Gli alunni indossavano un grembiule nero o blu con un fiocco rosa per le femmine e un fiocco azzurro per i maschi; il corredo scolastico era molto semplice: un libro, un quaderno a righe e uno a quadretti, un astuccio di legno con un pennino.
I banchi, a due posti, avevano il calamaio che conteneva l’inchiostro. Le pagelle, che venivano consegnate alle famiglie ogni tre mesi, riportavano i voti in decimi per ogni materia e il voto di condotta. Gli insegnanti erano severi e a volte usavano punizioni come le bacchettate sulle mani e le tirate di orecchie. Le scuole si trovavano nei centri più grandi, non c’era lo scuolabus e poche famiglie avevano l’automobile, per questo i bambini che abitavano in campagna erano costretti a percorrere anche chilometri a piedi per raggiungere la scuola.
Quando ci hanno detto che non potevamo andare a scuola per la pandemia, ci è sembrato tutto molto strano. Improvvisamente eravamo a casa, senza doverci alzare presto la mattina e fare le corse per arrivare in tempo prima del suono della campanella. Poi è arrivata la Dad: per fare lezione dovevamo collegarci con un computer e seguire i nostri insegnanti a di-stanza. All’inizio eravamo contenti all’idea di restare comodi tra le mura delle nostre camerette ma ben presto è subentrata la noia e la situazione si è fatta pesante. Ci siamo dovuti adattare alle connessioni deboli, ai microfoni aperti che rimbombavano, a rispettare regole nuove affinché tutto potesse funzionare: fare una domanda e spegnere il microfono, alzare la mano premendo un pulsante, uscire e rientrare quando perdevi la linea.
La casa alla fine è diventata una prigione, ci mancavano gli amici e le maestre, gli abbracci, le chiacchiere, gli scherzi, le risate. Quando finalmente siamo tornati a scuola è stata una festa! Tutto sembrava più grande e luminoso, l’aula, gli spazi esterni, il giardino.
Tutti eravamo cresciuti e cambiati. Sopra le mascherine, i nostri occhi sorridevano dalla gioia incontenibile di essere finalmente di nuovo insieme.
Articoli e disegni sono stati realizzati dalla 1^ H della Secondaria di primo grado Vanghetti: Elisa Aliaj, Joshua Artates, Brando Benvenuti, Eryle Billedo, Alessandro Bisesto, Noemi Cappella, Flora Castillo, Enea Cocchiara, Cecilia Debenedittis, Carmen Dell’Ostia, Diego Di Prima, Niccolò Falaschi, Emma Gaggelli, Matteo Gibiino, Emma Giunti, Anita Gonfiantini, Giulio Grossi, Zeno Marmugi, Iacopo Mordini, Mattia Papalini, Gaia Paperini, Astrid Tangala, Giorgia Toni, Vittorio Valori, Lisa Zecchin. Docente tutor Serena Marrocchesi.
Dirigente scolastico Marco Venturini.