La Rotta, connubio tra acqua e fuoco
Il fiume Arno e le fornaci segnano la storia, la cultura e la vita sociale dei rottigiani
Nel comune di Pontedera, a 3 chilometri dal centro cittadino, si sviluppa la frazione de La Rotta, sito molto antico, in cui gli archeologi pensano che si sia insediato, 500mila anni fa, l’Uomo di Heidelberg o anche detto Pitecantropo, che trovò riparo su questo leggero pendio della valle dell’Arno perché ottimo sito di insediamento come terrazza fluviale sul fiume. Lo stesso nome La Rotta, secondo una delle diverse tesi sull’origine del toponimo, è strettamente legato all’Arno e ad una storica rottura dell’argine all’altezza di una curva che fino ad alcuni secoli fa, il fiume compiva prima di immettersi nel Padule di Bientina. E’ proprio con il fiume, dunque, che nasce la storia de La Rotta e dei suoi abitanti, paese che con la sua parrocchia, prende vita nella seconda metà del ‘500 e cheneisecolisuccessivi,‘800-‘900, vede lo straordinario sviluppo economico legato all’attività delle fornaci e dei mattonai. Nascono proprio qui, infatti, le prime fornaci che utilizzano le argille depositate dal fiume durante le piene autunnali e invernali. Dalle acque dell’Arno i rottigiani ricavano la cosiddetta «molletta», materiale che utilizzano per fabbricare mattoni e di cui diventano maestri sia nel forgiarli che nel cuocerli. Ecco l’altro elemento amico de La Rotta, il fuoco, protagonista inizialmente di piccole fornaci, circa una ventina a camera unica con fuoco non continuo, poi sostituite dal forno Hoffman a ciclo continuo, la cui attività di cottura avveniva 24 ore su 24. Agli inizi del ‘900 la nascita di fornaci con il sistema Hoffmann fa aumentare moltissimo la produzione di mattoni (fino a 2 milioni di pezzi all’anno) che ancora una volta hanno bisogno dell’Arno per essere trasportati: con i navicelli si poteva andare dalla zona delle fornaci, attraverso l’Arno, fino a Livorno, con i barrocci si portavano i mattoni fino al porto di Fornacette e poi, attraverso l’Arnaccio, canale emissario dell’Arno, a Livorno dove venivano imbarcati sulle navi per diverse destinazioni, perfino in America. Con questa innovazione però, e con lo sviluppo di una moderna industria laterizia, la qualificata manodopera de La Rotta risulta sovrabbondante ed è costretta a trasferirsi in regioni del Nord, soprattutto in Piemonte dove la produzione di mattoni è maggiore e il fabbisogno di mattonai più forte. Il dramma di queste famiglie costrette a lasciare il paese, la propria casa, dagli ultimi giorni di marzo fino a settembre, ce lo racconta la signora Grazia nell’intervista.
Il Parco Fluviale che oggi si presenta come un bellissimo giardino attrezzato a servizio degli abitanti de La Rotta, è il frutto di un progetto di riqualificazione ambientale di quell’area intorno alla vecchia fornace di mattoni e all’ex forno Hoffman, rimasta abbandonata per oltre trent’anni. Grazie alla determinazione dell’architetto Adriano Marsili e all’impegno dell’amministrazione comunale, oggi gli abitanti de La Rotta possono disporre di uno spazio verde, pulito e attrezzato proprio lungo il perimetro golenale dell’Arno dove in tempi passati la popolazione ricavava da vivere. In questo spazio, oltre che godere dei ben conservati ruderi rimasti come segno tangibile di insediamento lavorativo, è possibile trascorrere un pomeriggio in tutta tranquillità con il rumore dell’acqua del fiume e i fiori colorati sui prati. Inoltre, qui si svolgono diverse feste come la Fiera dei fischi e delle campanelle, dove si vendono fischi e campanelle di terracotta in memoria della tradizione mattonaia. Il parco fluviale, dunque, rappresenta un importante intervento di recupero ambientale e naturalistico dell’intera zona e del territorio, ma anche una valorizzazione dell’identità storica di questo luogo e dei suoi abitanti.
Durante la visita al Parco fluviale e al museo abbiamo conosciuto la signora Grazia, che ci ha raccontato la sua esperienza di mattonaia. La sua era una famiglia di mattonai? «Sì, come la maggior parte delle famiglie de La Rotta io sono cresciuta in una famiglia di mattonai che hanno dovuto vivere l’emigrazione stagionale». Che significa? «Che da quando avevo 6 anni fino ai 22 ogni anno, ad aprile, partivamo per andare in Piemonte a lavorare nelle fornaci dove anche i bambini avevano dei ruoli ben precisi». Qual era il tuo compito? «Trasportare mattoni o tegoli e di metterli ad essiccare». Quali erano le vostre condizioni di vita? «Erano condizioni molto pesanti, dovevamo alloggiare in ciabotti, casupole che spesso dovevamo risistemare perché senza parti di tetto. Solo un paio di stanzine alte 2 metri, senza pavimenti, senza servizi igienici. Dormivamo su sacconi di paglia». Quando e come tornavate a casa? «Alla fine della stagione, settembre-ottobre, tornavamo al paese molto dimagriti ma con un gruzzoletto di soldi per vivere nei mesi invernali».
La pagina è stata realizzata dalla 2^ D dell’Istituto comprensivo Curtatone e Montanara: Andrea Arena, Caterina Bachini, Siria Bandini, Niccolò Bardi, Ascanio Brini, Guglielmo Conforti, Ludovica Daddi, Jacopo Desideri, Giulia Di Girolamo, Aurora Di Rita, Filippo Doveri, Lorenzo Portos Giusti, Sally Granchi, Giulia Grassini, Emanuele Itorho, Matilde Lapira, Ismail Lekrad, Stefano Losavio, Lorenzo Malventi, Giacomo Marianelli, Andrea Morelli, Caterina Povia, Haaron Rayadi, Sofia Scalora, Elisabetta Sergi, Maria Simone, Carlotta Toro. Docente tutor Cosima Attanasio. Dirigente scolastica Maura Biasci.