ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Mino da Fiesole di Compiobbi (Fiesole) (FI) - Redazione

Cavallini, dall’orrore alla pace

L’artista fiesolano e l’esperienza della guerra: «Ho scolpito per voi uomini un monumento all’amore»

In occasione della sua mostra a Palazzo Strozzi Sacrati abbiamo approfondito vita e produzione artistica dello scultore Sauro Cavallini, in particolare tre diversi lavori sul tema della maternità, visti (e toccati!) nella visita al suo studio a Fiesole. L’opera Madre e Figlio del ‘62 narra l’orrore della guerra e il dolore di una donna che trattiene suo figlio dalla presa della morte. È realizzata con la fiamma ossidrica e irriproducibile: Cavallini faceva sciogliere il ferro goccia a goccia lasciandolo depositare sull’opera che prendeva forma assumendo un profilo ruvido e irrequieto. La madre, a differenza delle figure realizzate successivamente, ha il volto definito che esprime forti emozioni. Il bambino è raffigurato in modo semplice, ma con particolari come le mani completamente unite o gli occhi socchiusi come se si stesse addormentando. Il ferro è un materiale inerte ma incarna la sofferenza e la paura provate durante la prigionia.

L’inno alla Vita di cui abbiamo visto il bozzetto è una scultura del ‘90, formata da 8 figure, ora a Strasburgo al palazzo del Consiglio d’Europa. Opera a tutto tondo, trasmette il senso di amore e armonia di una famiglia. Le figure si ritrovano in un abbraccio con al centro una maternità.

Allo studio abbiamo scoperto che questa, come gli altri lavori dello stesso periodo, erano realizzati a partire da un’anima di ferro avvolta da bende gessate e gesso per creare il volume; infine si procedeva alla fusione.

Così l’artista realizzava opere in bronzo con superfici perfettamente lisce sulle quali apponeva una vernice per modificare la gradazione del colore originale.

Queste sculture chiedono di essere toccate e accarezzate, coinvolgendo più sensi.

Maternità con gabbiani è un disegno a tempera su legno appartenente agli ultimi anni quando, malato, l’artista non poteva più scolpire: una donna incinta, simbolo di vita, è sdraiata su un piano arancione con uno sfondo celeste su cui si staglia un sole rosso e dei gabbiani. Nel disegno Cavallini non poteva gestire la tridimensionalità, così sfruttava le potenzialità dei colori che, accesi e armoniosi, contornati da una sottile linea bianca, trasmettono all’osservatore sentimenti felici. La madre con il figlio in grembo è rappresentata con un vuoto all’interno dello stesso colore del cielo, forse a simboleggiare l’immortalità. I gabbiani nella parte alta del disegno rappresentano per lo scultore un confine immaginario oltre cui non si sarebbe spinto: “Io resterò qui sempre, non oltre il volo dei gabbiani”. Le prime opere avevano lo scopo di superare il dolore o erano una testimonianza? «Mio padre – risponde Teo Cavallini – aveva difficoltà ad esprimersi e doveva trovare un modo per parlare di sé e del proprio dolore. Così nascono le sculture raffiguranti persone vinte». Perché sceglie il bronzo? «Il bronzo riflette la luce che esalta le sculture; le patine sono quasi tutte scure e lisce e, quando batte il sole, il movimento dell’opera viene esaltato. Poi il bronzo è pressoché eterno: quando noi spariremo, le sculture rimarranno. Affinché non sia dimenticato Cavallini incideva la sua firma rendendola indelebile».

Com’è stato essere figlio di uno scultore? «Da ragazzo divertente, crescendo le cose si sono complicate. Le esigenze di una persona normale sono diverse da quelle di un artista: lui dormiva di giorno e lavorava la notte. Hobei ricordi degli sport che praticavamo insieme, però non andavamo tanto d’accordo. Quando lui si è ammalato, però, io sono tornato da Hong Kong e un giorno, mentre lo stavo lavando, mi appoggiò una mano sulla spalla e mi disse “Io ti ammiro”». Sauro Cavallini, nato nel 1927, a 13 anni si rifiutò di partecipare alle adunate dei giovani del fascio. A 16 fu arrestato dalla polizia nazifascista, con la falsa accusa di essere un partigiano e recluso nel campo di Gradaro (Mantova), dove rimase scampando ai campi di sterminio tedeschi. Nel campo, senza porte né finestre, le punizioni erano frequenti, il cibo scarso, le condizioni igieniche precarie e il lavoro massacrante. Più di una volta tentò di scappare senza riuscirci. Malato, venne trasferito in un ospedale, da dove ricominciò la propaganda contro l’invasione nazista, fu nuovamente arrestato ma venne liberato senza processo. Tornato dalla famiglia passò il tempo a cercare di salvarsi dagli attacchi su Firenze. Alla fine della guerra esternò i suoi terribili ricordi attraverso degli scritti autobiografici. Quando iniziò a praticare la scultura, a circa 30 anni, quegli incubi presero inevitabilmente forma e si tradussero nelle sue prime opere d’arte tra il 1961 e il 1963, mai esposte fino ad oggi. Da quel momento in poi l’unico scopo della sua arte fu comunicare la pace. Ecco chi sono le croniste e i cronisti in erba del Giornalino scolastico della scuola secondaria di primo grado ‘Mino da Fiesole’: Brilli Giorgia, Collini Martina, Eleonora Sbisà, Tommaso Grigioni, Emma Cortini, Matteo Pascucci, Ada Carotti, Neri Misuri, Giacomo d’Albero, Adriano Vicini, Claudia Sarti, Caterina Lippi, Siria Cammelli, Margherita Ceccatelli.

Dirigente scolastico: Patrizia Bettini.

Docenti tutor: Giulia Huober, Ester Pevere, Stefano Barbagli. LA REDAZIONE

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