ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Vanni di Sorano (GR) - Redazione

Ora basta! Scrivere un nuovo finale

Un monologo per capire, riflettere ed urlare il silenzio. Perché le parole non dette diventano complici

Mi sono chiesta tante volte se esistesse un’altra strada, se la mia vita avrebbe potuto avere un altro finale! Ormai non posso più parlare, chi diceva d’amarmi mi ha tolto i sogni, le speranze, la gioia di vedere crescere i miei figli. La mia sembrava una bella storia d’amore, come tante altre, ma è bastato poco e sono diventata l’oggetto su cui scaricare frustrazione, ansia e gelosia infondata.

Mi sono chiesta ripetutamente perché fosse capitato a me; poi ho capito che può accadere a chiunque di scendere all’inferno e non sentirsi sicuri e protetti neanche a casa propria. Il senso di colpa si è impossessato di me e, come se non bastasse, mi martellava nella testa la convinzione di essere io quella sbagliata, anche quando ai litigi hanno iniziato ad accompagnarsi maltrattamenti, derisioni, pressioni psicologiche e scenate di gelosia, ho pensato che fossero giustamente meritate.

Mi sono sempre vergognata di raccontare a qualcuno l’opprimente sensazione di pericolo che mi accompagnava in ogni momento; ho finito per consumare tutti i miei trucchi per nascondere i lividi, mentendo anche a chi aveva iniziato a dubitare. Ho pensato tante volte di scappare, ma sono rimasta, portando avanti una relazione con il mio aguzzino, sperando di riuscire a cambiare chi avevo sposato e che non riconoscevo quasi più. Ho avuto a tratti un innato istinto di salvezza, ma non sono riuscita a proteggere me stessa. Mi sono sentita derisa, scoraggiata, umiliata, violentata nella mia dignità di essere umano, mi sono lasciata intimidire dalle parole, urla, gesti e sguardi di disprezzo. Mi sentivo colpevole di quella rabbia che si scatenava contro di me con quella cadenza così puntuale, quasi da diventare l’ennesimo appuntamento con il terrore.

Oggi ho raggiunto la consapevolezza che ciò che ho subìto si chiama e si deve chiamare con il suo giusto nome «violenza», oggi so dare agli schiaffi e ai lividi la giusta connotazione. Per me è troppo tardi, ho perso tutto, non potrò più diventare madre, tutti i miei desideri sono annegati proprio in quella chiazza di sangue che ho lasciato sul pavimento della cucina. Per questo ti scrivo donna, anche se non ti conosco, voglio darti un consiglio, anzi te lo urlo a gran voce, prenditi cura di te, grida il tuo dolore, racconta, prima che qualcuno ti tappi la bocca, perché la vergogna e il silenzio sono solo i complici della violenza, l’aiutano a vincere. Non lasciare che qualcuno ti tolga il sorriso, la libertà e il diritto di percorrere tutta la strada che hai davanti.

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