ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Granacci di Bagno a Ripoli (FI) - 1E

Parità di genere, sogno o realtà?

Un obiettivo di civiltà ancora incompleto, ma fondamentale per un mondo migliore

Sentiamo spesso parlare di parità di genere e ci siamo chiesti in cosa consista: abbiamo scoperto che la parità di genere si riferisce alla parità tra donne e uomini rispetto ai loro diritti, trattamento, opportunità, risultati economici e politici. L’articolo 3 della Costituzione italiana afferma che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo migliore, sostenibile e in pace: la risoluzione 1325 dell’ONU riguarda proprio i diritti delle donne, la pace e la sicurezza. Le donne di tutto il mondo sono menzionate esplicita-mente in relazione all’impatto della guerra su di loro e al contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole. Solo garantendo alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione e alla rappresentanza nei processi decisionali, si potrà promuovere economie sostenibili di cui potranno beneficiare la società e l’umanità intera. Ciononostante, donne e ragazze continuano a subire discriminazioni e violenze nelle varie del mondo: se nel 2012, in Europa, i tassi di iscrizione scolastica erano gli stessi per le ragazze e per i ragazzi, ancora oggi, in Africa, in Oceania e in Asia occidentale le ragazze incontra-no ostacoli nell’accesso alla scuola primaria e secondaria.

L’Italia è il Paese che negli ultimi dieci anni ha realizzato i maggiori progressi in Europa per quanto riguarda la parità di genere, ma anche da noi resta comunque molto da fare: infatti, secondo l’indice di assoluta parità tra uomini e donne, siamo a quota 63,5 ovvero 14esimi su 28 Paesi della Unione europea. A differenza dell’Afghanistan, che risulta uno dei peggiori paesi per una ragazza per crescere e che ha la maggior percentuale di donne che subiscono violenze dall’uomo. Per questo l’Afghanistan avrebbe dovuto elaborare una strategia per l’Agenda 2030 impegnandosi a porre fine a tutte le forme di discriminazione delle donne. Negli ultimi 20 anni ci sono stati progressi, ma la perdita di controllo sul territorio afghano da parte dei Paesi Occidentali desta grande allarme per l’universo femminile. La parità di genere resta quindi un obiettivo fondamentale che l’umanità intera deve raggiungere per rendere il mondo un posto migliore.

 

Pensando alla pace e alla parità di genere, ci siamo interessati alla vicenda delle ragazze afghane a cui i talebani avevano vietato di giocare a calcio e che quindi sono state costrette a scappare con il loro allenatore. Così abbiamo incontrato Silvia Ricchieri (foto) della ong Cospe che ne ha seguito la storia per 4 anni in Afghanistan.

Cosa pensavano i genitori che le loro figlie giocavano a calcio? «I genitori si fidavano delle loro figlie e del loro mister perché i talebani erano minoranza; la maggior parte dei padri amava le proprie figlie e non era in grado di maltrattarle o addirittura massacrarle, come invece successe da parte dei talebani dopo che ebbero preso il potere».

Vorrebbero tornare in Afghanistan? «Sì, perché alcune di loro hanno lasciato la famiglia là, se potessero tornerebbero, ma non potranno farlo molto presto dato che l’Europa non sta facendo niente per aiutarle».

Cos’è per loro il calcio? «È un’opportunità per stare con le altre ragazze e per fare sport, ma soprattutto per divertirsi anche se per farlo dovevano indossare il velo. Adesso le ragazze possono continuare a giocare a calcio a Firenze dove sono state ospitate grazie al progetto Cospe».

 

Perché in italiano quando ci riferiamo a gruppi di persone misti usiamo termini al maschile? Abbiamo notato che altre lingue, per esempio l’inglese, utilizzano il neutro oppure la “s“ per il plurale. Per rendere la nostra lingua più inclusiva, negli ultimi tempi è comparsa una nuova lettera, una specie di “e“ rovesciata, detta “schwa“, e il suo suono è a metà strada tra altre vocali: si pronuncia come le vocali finali in napoletano. Lo “schwa“ è un nome derivato dall’ebraico medievale “shav“, potrebbe voler dire “niente“, mentre secondo altre teorie linguistiche è più plausibile che il suo significato sia sinonimo di “uguale“, di “pari“.

Di conseguenza, chi non vede di buon occhio il retaggio patriarcale che ci spinge in italiano a usare il genere maschile come se fosse neutro, riferendoci di continuo a una persona non meglio identificata con il maschile, o parlando al maschile di un gruppo di persone di genere misto, ha cominciato a proporre delle alternative più inclusive in merito. Insieme alla civiltà, anche le parole si devono evolvere e così stanno facendo, anche grazie allo “schwa“.

Ecco la redazione della I E della scuola media Granacci di Bagno a Ripoli che ha redatto questa pagina: Caterina Amolfi, Mattia Arbia, Dario Bollino, Bianca Del Taglia, Jordan Ercolano, Bianca Faggioli, Lorenzo Ghini, Alice Hettiarachchige, Ashi Jayasuriya, Luca Lampronti, Anna Lastraioli, Lorenzo Messina, Sofia Piccioli, Matilde Pucci, Daniele Salvestrini, Livia Santini, Olivia Venni, Diana Villani, Tarusha Warnakulasooriya.

Dirigente Scolastica: Amalia Bergamasco.

Docente tutor: Laura Meini.

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