ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Salvemini - La Pira di Montemurlo (PO) - Redazione

«Ho visto picchiare mia madre» A 13 anni il coraggio di parlare

I ragazzi della scuola media Salvemini - La Pira di Montemurlo hanno raccolto due testimonianze di ragazzi vittime di violenza in famiglia. "Questa spirale si ferma solo con educazione e amore"

La violenza sulle donne è una spirale che trascina tutto e tutti in un mondo di angoscia e paure, non risparmiando nessuno, tanto meno i figli. Sono due le testimonianze che abbiamo raccolto e che raccontano quanto coraggio ci voglia per andare avanti dopo aver visto tuo padre picchiare e insultare tua madre, dopo aver temuto che la tua mamma ci morisse per quelle botte, che crollasse sotto i colpi di quelle offese. Eppure, entrambi, sono riusciti a guardare al futuro con la speranza e la fiducia nell’amore e nella vita. Sono entrambi 13enni, abitano a Montemurlo, e hanno sogni grandi quanto il cielo.

«Mio padre è sempre stato violento: avevo quattro anni quando iniziò a picchiare mia made e a tredici mi è stato detto che si drogava.

Questa per me è stata una scoperta angosciante»”. Ha le lacrime agli occhi quando Carlo (nome di fantasia) mentre racconta il suo dramma. «Mi trovavo in piazza prosegue – quando il babbo cominciò a sputare addosso alla mamma e poi a picchiarla. Intervenne anche mia nonna e mio padre la spinse a terra. Dopo circa venti minuti arrivarono i carabinieri e l’ambulanza e lo portarono via. Da quella sera non l’ho più rivisto, anche se ci chiamiamo spesso, sembra cambiato, vorrei chiedergli se dopo tutti questi anni ha capito quanto è grave quello che ha fatto e se si è pentito». Carlo ci confida che non è stato difficile allontanarsi da lui: «spesso veniva ad insultarci sotto casa, minacciava il compagno di mia madre. Ancora oggi non capisco il motivo delle sue azioni, posso solo pensare che forse, avendo lui vissuto una situazione uguale alla mia, abbia potuto ripetere gli stessi errori di mio nonno».

Leonardo invece esordisce dicendo: «Mia mamma è entrata in camera mia urlando, avevo paura, ero terrorizzato». Per anni, sua madre ha subito violenze fisiche e psicologiche dal marito, fino a che nel settembre scorso, ha avuto la forza di reagire, denunciandolo.

«La picchiava – racconta Leonardo – accusandoli di andare a dire alle amiche i fatti di famiglia. Ma erano scuse. E ogni scusa era buona per sfogarsi su di lei». La madre voleva chiedere il divorzio, ma non lo ha fatto perché non voleva far stare male i figli, ma lo ha denunciato: «Mio padre aveva passato lo stesso dramma da piccolo – continua a raccontare – mio nonno picchiava mia nonna, così gli è venuto naturale ripetere lo stesso errore, fino a che non ha capito». E lo ha fatto, grazie agli assistenti sociali, «che ci hanno aiutato a salvare la nostra famiglia».

Due storie. Due vite. Due testimonianze. Tanto simili seppur nella propria unicità. Simili soprattutto per la grande lezione che ci lasciano: la spirale di violenza che si ripete di padre in figlio, si ferma solo con la cultura, l’esempio e l’amore.

 

In Italia il femminicidio è un fenomeno tutt’altro che raro: ogni tre giorni una donna viene uccisa da un uomo che appartiene alla sua cerchia affettiva. Per dire basta sono tante le iniziative che porgono la mano alle vittime e che puntano alla diffusione della cultura del rispetto. La Toscana ha molti Centri antiviolenza (Cav) a cui accedono sempre più donne, dimostrando l’aumento di consapevolezza che la denuncia rende liberi: nei 373 centri sparsi nella penisola si sono recate nell’ultimo anno 34.500 donne.

Il 15° Rapporto sulla violenza di genere voluto dalla Regione, parla chiaro: nel 2022 sono in 3.232 a essersi rivolte a un Cav, evidenziando un aumento considerevole rispetto all’anno precedente. A sostenerle, una serie di percorsi di vario tipo, che accompagnano la donna verso una nuova vita. In particolare, nei casi più estremi, ci sono le Case rifugio, dove le vittime ripartono dall’anonimato per costruirsi un futuro. A Montemurlo, nel 2023, sono 14 le donne prese in carico, un trend in aumento che caratterizza anche l’intera provincia pratese con 89 casi.

Ma per dire no alla violenza di genere occorre intervenire anche sugli uomini. È questo l’obiettivo dei Centri per uomini autori di violenza (Cuav), che vogliono interrompere il femminicidio aiutando l’uomo nell’assunzione di responsabilità.

 

Questa pagina è stata realizzata dagli studenti della scuola media Salvemini-La Pira di Montemurlo del comprensivo Margherita Hack. Ecco i nomi degli studenti-cronisti: Sofia Gargano, Marco Gegaj, Muhammad Ali Jahangir, Elena Orlandi, Tommaso Parise, Sofia Benedett Ambrosio, Diletta Biagiani, Gaia Bianco, Denise Trinci, Viola Polverelli, Sofia Tommasi, Francesco Bartoli, Matilede Cinelli, Samuele Chirco, Mattia Bacci. Gli studenti hanno realizzato anche la fotografia che è stata inserita a corredo della pagina di inchiesta sulla violenza sulle donne. Insegnante-tutor che ha coordinato il lavoro degli studenti è Stella Spinelli.

Il dirigente scolastico del comprensivo Margherita Hack di Montemurlo è la professoressa Maddalena Albano.

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