Catastrofi naturali, come prevenirle Alluvione: la rivolta dei torrenti
A scuola riflettiamo sull’inversione di rotta da fare per prevenire il cambiamento climatico
Nei giorni dal 2 al 5 novembre 2023, gran parte della Toscana è stata colpita da piogge torrenziali che hanno causato l’esondazione di moltissimi torrenti, quali il Rio Maggiore, che ha allagato il quartiere di Ardenza in provincia di Livorno, i torrenti Stella, Agna e Montale, che sono esondati nel comune di Quarrata, in provincia di Pistoia, i torrenti Furba, Bardena e Bagnolo, che hanno inondato rispettivamente il comune di Carmignano, la frazione di Figline e il comune di Montemurlo in provincia di Prato, i torrenti Marina e Marinella che sono esondati nel comune di Campi Bisenzio in provincia di Firenze e il fiume Bisenzio esondato anch’esso a Prato e a Campi Bisenzio. Pare che la causa sia stata la tempesta ’Ciaran’ sorta nei giorni precedenti nella parte occidentale dell’Oceano Atlantico in seguito allo scontro tra masse di aria fredde e calde. Ci sono stati 8 morti e ben 300 sfollati.
Nel giro di pochissimo tempo la popolazione di questi territori si è vista travolta completamente dall’acqua, le macchine parcheggiate in strada hanno iniziato a galleggiare, addossandosi l’una sull’altra, e per alcuni che si trovavano fuori casa non c’è stato scampo. Con l’esondazione dei fiumi, l’acqua ha inondato impianti di potabilizzazione e centrali elettriche rendendoli inutilizzabili; quindi moltissimi si sono trovati con il fango in casa, senza acqua potabile e senza corrente elettrica, in più non potevano usare nemmeno i telefonini perché anche quelli si ricaricano con la corrente elettrica.
Per impedire disastri come questi (già obiettivo dell’Agenda 2030) bisognerebbe innanzitutto contrastare il riscaldamento climatico riducendo le emissioni di CO2 dovute alle fabbriche e ai mezzi di trasporto, inventando altri modi di produrre energia, più sostenibili e smettendo di togliere spazi verdi, polmone naturale per il pianeta Terra. Bisognerebbe intervenire con delle leggi internazionali cui tutti gli Stati dovrebbero uniformarsi. Ma bisognerebbe altresì intervenire a livello locale rafforzando con argini, casse di espansione e dighe questi piccoli fiumiciattoli, in modo tale da mettere in sicurezza queste zone (molti lavori sono stati già iniziati dai Consorzi di Bonifica e da altri enti), come era già stato fatto per Arno, Ombrone e Bisenzio che hanno retto benissimo e non hanno creato problemi.
Inoltre bisognerebbe essere maggiormente abili e svelti a intervenire qualora tutti i mezzi di prevenzione presi a livello edilizio non fossero sufficienti per prevenire tali situazioni.
Per riflettere maggiormente sull’argomento abbiamo intervistato la nostra professoressa di italiano, Letizia Querci, direttamente colpita dall’alluvione. Professoressa, lei dove abita e dove si trovava al momento dell’accaduto? «Abito nella zona di Santa Maria a Campi Bisenzio, la prima a essere colpita, la sera del 2 novembre, dall’esondazione del Bisenzio. La fortuna è che l’acqua da noi è arrivata ma non è rimasta, cioè non è entrata nelle case: la mattina dopo è scorsa via, cosa che non è successa in altri punti dove il fiume ha rotto gli argini successivamente, tipo a San Piero a Ponti. Qui l’acqua non è riuscita a defluire per via della grande quantità di cemento allagando strade come via Palagetta». Sono state colpite anche altre zone? «Sì, nella zona di Villa Montalvo è straripato il torrente Marina e ha rovinato la biblioteca Tiziano Terzani, il più grande centro italiano di documentazione di libri per l’infanzia e l’adolescenza». Come interverrebbe per impedire situazioni come queste? «Non eravamo pronti per un evento così estremo, i gommoni non hanno iniziato a circolare subito e quelle 48 ore di attesa sono state un’eternità. In più i pochi volontari a disposizione quella sera erano impegnati per il crollo di un tetto. Un’idea potrebbe essere quella di stipendiare le persone della Protezione civile in modo che possano accorrere velocemente in quantità al momento del bisogno, organizzarsi con mezzi adatti, fare telefonate di ’allerta meteo’ nei giorni precedenti per invitare le persone, soprattutto le più anziane, a raggiungere luoghi più sicuri».