ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Pontormo di Carmignano (PO) - 2D

Il ritorno della moda maranza «Vestitevi usando la testa»

Indagine degli studenti sulle preferenze nell’abbigliamento e calzature: lo stile anni ’80 rivisitato Dietro alla produzione di capi “fast fashion“ c’è lo sfruttamento minorile nelle fabbriche asiatiche

Oggi la moda è diventata una parte importante nella vita di noi ragazzi. Indossare vestiti alla moda ci fa sentire più sicuri, più accettati dagli altri e spesso ci aiuta a mostrare chi siamo. In molti casi, ci vestiamo in un certo modo per sentirci parte di un gruppo o per imitare quello che fanno gli altri. La moda ci attira perché è ovunque: la vediamo in TV, sui social, nei video su internet e soprattutto nelle pubblicità. Ci fanno pensare che se non abbiamo certi capi o certe marche, non siamo abbastanza “cool”. Vediamo modelle e modelli sorridenti e felici solo perché indossano determinati vestiti o scarpe. Così, senza accorgercene, iniziamo a desiderare quelle cose.

Pensiamo che indossare quel marchio famoso ci farà sentire migliori, più alla moda o più popolari. Ma spesso non ci chiediamo come vengono prodotti quei vestiti, né da chi.

La verità è che dietro molti capi d’abbigliamento che troviamo nei negozi si nasconde una realtà molto triste: lo sfruttamento del lavoro minorile. In paesi come il Bangladesh, l’India o il Pakistan, ci sono bambini che lavorano in fabbriche per produrre magliette, jeans, felpe e scarpe che noi compriamo. Questi bambini, invece di andare a scuola o giocare, passano ore e ore in ambienti caldi, rumorosi e pericolosi. Guadagnano pochissimo e lo fanno solo per aiutare le loro famiglie a sopravvivere.

Tutto questo accade perché le grandi aziende vogliono spendere poco e guadagnare tanto.

Così cercano manodopera a basso costo e la trovano nei paesi più poveri, dove non ci sono leggi che proteggono davvero i diritti dei lavoratori. E noi, senza volerlo, contribuiamo a questo sistema ogni volta che compriamo senza informarci. Anche la cosiddetta «moda maranza», molto diffusa tra i giovani, è un esempio di come la moda e la pubblicità ci influenzino. Molti ragazzi comprano vestiti costosi solo per seguire una tendenza, senza sapere che dietro quella felpa o quel paio di scarpe ci potrebbero essere ore di fatica di un bambino come loro, che invece di giocare è costretto a lavorare. Ognuno di noi può contribuire a cambiare le cose. Possiamo iniziare a leggere le etichette dei vestiti e a scegliere capi prodotti in modo etico. Esistono marchi che non sfruttano i bambini e che si preoccupano dell’ambiente. In conclusione, la moda non deve essere solo apparenza. Deve diventare anche una scelta responsabile.

Se iniziamo a pensare e riflettere prima di comprare e diffondiamo anche la cultura di acquistare il più possibile produzioni di filiera rispettosa dei diritti umani, in famiglia e parlando con gli amici, possiamo aiutare tanti bambini ad avere una vita migliore, fatta di scuola, gioco e libertà.

 

Molti ragazzi usano un linguaggio diverso da quello tradizionale. Alcune parole vengono prese soprattutto dall’inglese e diventano di uso.

Questo rende il modo di parlare più moderno, anche se a volte gli adulti fanno fatica a capirci! Come la moda, anche il linguaggio giovanile cambia rapidamente. Ad esempio, “ghostare” viene dall’inglese “ghosting” e significa interrompere improvvisamente ogni contatto con qualcuno senza spiegazioni.

Ultimamente, una parola molto usata tra i ragazzi è “rimasto”.

Si dice quando qualcuno fa o dice qualcosa di vecchio o fuori moda. È un modo un po’ ironico per prenderlo in giro, come se fosse rimasto indietro nel tempo. Altre parole molto usate sono chill, boomer e cringe. “Chill” significa “stai tranquillo” o “rilassati”, e si usa spesso per dire a qualcuno di calmarsi. “Boomer” invece è un termine che viene usato per indicare persone che non capiscono la tecnologia o che hanno idee un po’ all’antica. Di solito si dice per scherzo, ma a volte può sembrare un po’ offensivo. Infine, c’è “cringe”, che vuol dire qualcosa di imbarazzante o che mette a disagio. Anche se non sono nel vocabolario queste parole si sentono ovunque: a scuola, sui social, nei video. Usarle ci fa sentire parte di un gruppo e più vicini ai coetanei. Ma è anche importante ricordare che parlare bene l’italiano è una ricchezza.

 

Questa pagina è stata realizzata dagli studenti della classe II D della scuola media «Il Pontormo» di Carmignano. Gli studenti-cronisti in classe sono: Greta Barisan, Giulio De Chiara, Adele De Mario, Paolo Gheri, Christina Gori, Matteo Grassi, Carlo Guastini, Adam Houbeddine, Noemi Hrovat, Majla Hysenbelliu, Yi Wei Hu, Ella Luo, Musa Muhammad, Bianca Pecchioli, Pietro Picchi, Leonardo Sardi, Adele Sicuranza, Marianna Silipo, Silvana Sun, Matilde Tucci, Melissa Ventura e Francesco Virga.

La vignetta centrale, a corredo della pagina, è stata realizzata dagli studenti.

Docente tutor è il professore di lettere Pino Fenu. Dirigente Scolastico dell’I.C. Pontormo è il professor Giacinto Ciappetta.

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