Le trappole dietro lo schermo «Hikikomori», occhio al baratro
Con questo termine giapponese si indicano le persone che si isolano e fanno vita solo sui social
Il termine «hikikomori» ha guadagnato molta importanza negli ultimi anni. La parola significa letteralmente «stare in disparte» e deriva dal mondo giapponese, infatti questo fenomeno è di origine nipponica. L’isolamento degli hikikomori può essere distruttivo: quando una persona si isola troppo, infatti, non è in grado di affrontare la vita, non si relaziona con gli altri e non sa risolvere i problemi che la realtà le pone di fronte. Con il tempo, questi individui, abituandosi sempre di più a quella ’reclusione’, cominciano a provare una paura enorme del mondo fuori, che appare pieno di aspettative e difficoltà. La durata dell’isolamento rende ancora più difficile, per loro, riuscire a reintegrarsi nella società e a tornare di nuovo a comportarsi normalmente.
Alcuni ragazzi, caduti in questo vortice, finiscono per passare tutto il tempo su internet o a giocare ai videogiochi, immergendosi in un mondo digitale che li allontana ancora di più dalla realtà. Altri possono cominciare a soffrire di problemi psicologici seri, come la depressione e l’ansia. Le cause all’origine di tale sindrome sono molteplici e, tra esse, citiamo il bullismo ed il peso delle aspettative familiari e culturali.
Il fenomeno degli hikikomori non riguarda solo l’isolamento fisico, ma coinvolge anche una sorta di esistenza emotiva e psicologica, che rimane separata dalla realtà sociale. L’impossibilità di affrontare il mondo esterno non si limita semplicemente al rifiuto di interagire, ma porta anche a un progressivo disinteresse per qualsiasi forma di crescita personale. Gli hikikomori, infatti, tendono a vivere una vita che manca di stimoli esterni, limitandosi spesso a routine ripetitive che coinvolgono attività solitarie. I legami familiari e sociali si indeboliscono, poiché l’individuo, convinto di non essere accettato, tende a evitare qualsiasi tipo di interazione, anche con persone care.
Spesso la famiglia stessa non è in grado di riconoscere immediatamente la gravità del problema; anzi, può addirittura entrare in una dinamica di co-dipendenza, per cui la protezione eccessiva verso il figlio contribuisce al mantenimento del suo isolamento.
Il fenomeno degli hikikomori non è circoscritto al solo Giappone. Ultimamente, infatti, si trova anche in altre parti del mondo, compresi gli Stati Uniti e l’Europa. L’avvento della tecnologia e la crescente digitalizzazione della vita quotidiana hanno amplificato il fenomeno, creando nuove modalità di ritiro sociale. Alla luce di ciò, e indipendentemente dal fenomeno descritto, tutti dobbiamo imparare a gestire correttamente l’immersione nel mondo digitale.
Secondo un recente studio, il 10% degli adolescenti italiani si troverebbe in una condizione di estremo ritiro sociale, sovrapponibile a quella degli hikikomori.
Si tratta, per lo più, di adolescenti, che rimangono sempre chiusi nella loro camera, avendo scelto il completo isolamento da qualsiasi contesto sociale.
Sono in aumento anche i cosiddetti «lupi solitari», ovvero coloro che stanno perdendo la socialità al di fuori della scuola. Ad aggravare il mutamento delle relazioni tra ragazzi, c’è stata, senza dubbio, la pandemia, che ha ’sequestrato’ le persone per mesi, ma, al di là di ogni attenuante, preoccupa il dilagare di tale fenomeno. Un’eccessiva esposizione ai social, delle cattive relazioni con i genitori, un senso di inadeguatezza di fronte al proprio corpo sono tra i motivi che spiegano la nascita di questa tendenza, che necessita di un piano di intervento sociale. Approcciare un hikikomori rappresenta un compito delicato e, per non essere respinti, bisogna entrare nello scudo che tali individui hanno creato nei confronti del mondo. È consigliato riconoscere la sofferenza di queste persone, allentare la pressione di realizzazione sociale, cercare il confronto, interpretare il problema a livello generale, spezzare la routine e focalizzarsi sul benessere. Se uno dei motivi scatenanti sono le pressioni familiari, quei genitori, che nutrono aspettative esagerate nei confronti dei figli, dovrebbero capire che, quando esse sono irrealistiche, i ragazzi peggiorano e sviluppano un ’muro’.
La pagina è stata realizzata dagli studenti Alia Mateo, Audino Matilde, Ardelli Davide, Begzati Belgin, Ravetti Aurora, Caccialupi Lorenzo, Falciani Tommaso, Ignat Alexandru Stefan, Mencattini Alessandro, Merli Edoardo, Niccologi Francesca, Pacini Lorenzo, Pinzi Simone, Wang Marco (3B).
L’insegnante tutor che ha seguito i ragazzi nella preparazione del materiale e nella stesura dei testi per la pubblicazione è la professoressa Maria Teresa Mambrini, dirigente scolastica Francesca Iovenitti.