Ogni donna merita di più La violenza problema enorme
Non rimanere in silenzio: chiedere aiuto al 1522 o fare il segno convenzionale. E denunciare
Le donne non sono un oggetto, non devono rimanere in silenzio quando subiscono violenza, sia fisica che psicologica, ma devono chiedere aiuto, chiamando il numero 1522 o facendo il segno apposito (prima chiudere il pollice e poi le altre dita).
Il 25 novembre si celebra nel mondo «La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne», una ricorrenza istituita dall’assemblea generale delle Nazioni Unite che, in questa data, invita i Governi, le organizzazioni internazionali e le Ong a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle più devastanti violazioni dei diritti umani. La violenza di genere non è solo l’aggressione fisica di un uomo contro una donna, ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, violenze sessuali, persecuzioni, atti compiuti da un uomo contro una donna in quanto donna. A volte sfocia nella sua forma più estrema, il femminicidio. Ed è giusto usare questa parola per indicare che è un uomo a uccidere una donna perché il fatto è frequente, troppo frequente.
Stando alle statistiche «in Italia ogni sette minuti un uomo stupra o tenta di stuprare una donna, ogni tre giorni nel nostro Paese un uomo uccide una donna». La violenza ha effetti negativi a breve e a lungo termine, sulla salute fisica, mentale, sessuale e riproduttiva della vittima. Le conseguenze possono determinare per le donne isolamento, incapacità di lavorare, limitata capacità di prendersi cura di se stesse e dei propri figli.
I bambini che assistono alla violenza all’interno dei nuclei familiari possono soffrire di disturbi emotivi e del comportamento. Gli effetti della violenza di genere si ripercuotono sul benessere dell’intera comunità. Scarpette rosse, panchine rosse, fiocchi rossi: il colore rosso del sangue delle donne uccise è una costante nei simboli usati per sensibilizzare su femminicidi e violenze, non solo nella Giornata internazionale di eliminazione della violenza di genere del 25 novembre. Le scarpe rosse sono il simbolo principale del contrasto alla violenza contro le donne, dai maltrattamenti ai femminicidi.
La panchina rossa, sempre più diffusa e presente nelle città e anche nei paesi, è un altro simbolo della lotta alla violenza di genere: un luogo dove fermarsi anche seduti, a riflettere sull’importanza di coltivare il rispetto reciproco. Ultimamente si è diffusa anche l’abitudine di usare un nastro o fiocco rosso appuntato al bavero della giacca o come luogo nelle campagne di comunicazione contro la violenza.
Quando la narrazione di un femminicidio si sofferma sulla descrizione della vittima, che era giovane, ad esempio, e che era vestita in un certo modo, che era di bell’aspetto, questo si chiama dinamica del victim blaming, cioè, colpevolizzare la vittima giustificando e scagionando socialmente gli aggressori, raccontando di passati complicati e burrascosi e di violenze da loro subite. La donna, vittima di violenza, all’umiliazione della violenza subita, quando la può denunciare e raccontare, aggiunge la vergogna di leggere un racconto distorto e per niente rispettoso della sua vicenda.
Un buon giornalista fornisce al lettore gli elementi che servono per formarsi una propria idea su quanto accaduto. Tra le nuove regole deontologiche introdotte dal consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti per il Testo unico dei doveri del giornalista (entrate in vigore il 1 gennaio 2021) si legge «Nei casi di femminicidio, violenza, molestie, discriminazioni e fatti di cronaca, che coinvolgono aspetti legati all’orientamento e all’identità sessuale, il giornalista presta attenzione a evitare stereotipi di genere, espressioni e immagini lesive della dignità della persona e si attiene a un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole. Si attiene all’essenzialità della notizia e alla continenza, presta attenzione a non alimentare la spettacolarizzazione della violenza, non usa espressioni, termini e immagini che sminuisce la gravità del fatto commesso».
Classe 1^ A scuola Secondaria di primo grado Renato Fucini Istituto comprensivo di Montespertoli: Norah Bruno, Giulio Bucalossi, Emilia Cambi, Vittoria Chiarugi, Samuele D’Aleo, Elisa Dainelli, Viola Degli Innocenti, Lorenzo Fossi, Matteo Gaglianone, Alice Ianne, Lorenzo Meliani, Massimo Mereu, Sandro Montomoli, Gabriele Montuori, Youssef Neffaty, Alessandro Palmieri, Vittoria Zaira Pucci, Alessandra Romano, Zoltan Fibbi Sborgi, Lapo Simoncini, Vittoria Spini, Sofia Tempesti, Costantin Walti. Professoressa tutor Giovanna Carli. Dirigente scolastica Sara Missanelli.