Intelligenza artificiale ai raggi X Il confine tra utilità e scorciatoia
È un mondo nuovo con cui misurarsi. Non è uno stratagemma per copiare, aiuta il ragionamento
C’è chi la usa per scrivere i compiti, chi per disegnare, chi addirittura per «fidanzarsi» con un’intelligenza artificiale. È un mondo nuovo, quello dell’IA, e ci siamo finiti dentro senza neanche il tempo di decidere se volevamo davvero entrarci. I ragazzi la usano, certo. Ma non come pensano gli adulti.
Non è solo una scorciatoia per copiare. Anzi. Chi la usa davvero, sa che bisogna ragionarci sopra, perché l’IA sbaglia, a volte anche in modo evidente. Se gli affidi un compito o un disegno, il risultato sarà troppo perfetto, troppo pulito, magari anche sbagliato.
«Io quella sirena la volevo com’era nell’antichità”» racconta una ragazza, «invece mi ha dato una versione finta». Eppure, l’Intelligenza artificiale serve. Ti dà la struttura, una spinta, un punto di partenza.
«Quando ho poco tempo, la uso per farmi correggere. Mi dà una base, un impulso buono a cominciare e poi riprendo gli appunti».
Non è un imbroglio, è una forma nuova di apprendimento. È come avere un assistente invisibile, che però devi saper guidare. Ma allora, perché fa così paura agli adulti? Forse perché l’hanno programmata loro, ma non la capiscono davvero.
Sono i primi a dirci di non imitare i social, e poi passano ore davanti al-le chat. Ci ripetono: «Ai miei tempi non c’erano queste cose». Ecco, appunto. Non c’erano.
Ma oggi ci sono. E se un ragazzo chiede aiuto a ChatGPT perché ha preso un 4 o perché a casa lo sgridano, non è pigrizia: è sopravvivenza. Certo, c’è anche il lato comodo. L’Intelligenza artificiale può diventare un trucco per «fregare» il prof. Ma, come dice Annalisa, «a furia di prendere in giro i professori, sei tu quello che non ci guadagna».
Perché alla fine, se non impari, il voto te lo porterai dietro. Ma soprattutto, ti resterà il vuoto. Anche i più bravi la usano. E lo ammettono. Non per copiare, ma per imparare, migliorarsi, capire.
L’Intelligenza artificiale non toglie creatività. Ti sfida a usarla in modo creativo.
E se la usi bene, non diventi più stupido, ma più intelligente. Più critico. Più pronto. Anche nel mondo del lavoro. E se a volte le app sbagliano, va bene. È un errore che ci fa ragionare. È il nostro modo per crescere.
In fondo, non è l’intelligenza artificiale a essere pericolosa. Ma l’idea di non farci le domande giuste mentre la usiamo. E di non farcele più, neanche da soli.
Gli adulti ci danno tante regole.
Troppe. Ma spesso sono i primi a non rispettarle. Ci dicono di non stare sempre al telefono, e intanto passano ore sulle chat.
Parlano di educazione, ma poi ruttano a tavola, fumano e con la sigaretta in bocca ti spiegano che «non si fa», dicendo che i tatuaggi sono una moda brutta… con il braccio pieno di inchiostro. Ci accusano di non leggere libri e di usare ChatGPT, ma se provi a spiegare che a volte un’app ti aiuta a capire meglio un argomento, ti guardano come se stessi imbrogliando la vita. «Non è leggere vero!», dicono. Ma nemmeno loro, spesso, leggono davvero. Ci ripetono che non si tradiscono i compagni, ma poi scopri che sono stati proprio loro a farlo. Dicono che bisogna uscire di casa, ma se lo fai troppo, diventa «esci sempre» e «non ci vuoi più bene». Se stai in casa, sei pigro. Se esci, sei menefreghista. Decidetevi. Al supermercato ci guardano male perché «i giovani non hanno rispetto» e intanto sono loro a saltare la fila. E se provi a farglielo notare? «Ai miei tempi c’era più educazione!» Eh già.
Poi c’è la questione del cellulare a scuola. A noi lo fanno spegnere per sei lunghissime ore. E lo facciamo davvero. Loro, invece, squillano con volumi da discoteca durante le lezioni, al cinema, ovunque. Non vogliamo criticare, ma dire le cose come stanno. Gli adulti sono contraddittori. E allora, forse, invece di giudicare sempre i ragazzi, potrebbero cominciare con una cosa semplice: dare l’esempio.
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