ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

IC Fermi di Casalguidi (PT) - 2B

ll passaporto dei diritti umani Si va verso un mondo più giusto

Incontro con Armida Bandoni, volontaria di Amnesty International, sul tema della pena di morte Il principio di base: «Il diritto alla vita è qualcosa che nessun altro dovrebbe poter togliere»

Prosegue il nostro percorso nella legalità: dopo aver affrontato, nel precedente articolo, il tema dei diritti dei detenuti, questa volta vogliamo occuparci di un argomento ancora più impegnativo, ma comunque legato al precedente: la pena di morte. Per poter affrontare una tematica così complessa ci siamo rivolti alla sezione italiana di Amnesty International, nella persona di Armida Bandoni che in tre percorsi in presenza, ci ha posto di fronte a un problema dibattuto e purtroppo ancora attuale.

La pena di morte è una punizione estrema, crudele, inumana e degradante che non dovrebbe trovare posto nel nostro mondo.

Armida Bandoni ci ha fatto capire quali sono i doveri e i diritti di ogni uomo e donna, ad esempio il diritto di avere cibo e acqua, il diritto di avere una casa, il diritto di identità, il diritto di opinione, ma soprattutto il diritto di vivere. Il diritto alla vita fa parte dei diritti umani e rappresenta uno dei diritti più importanti che una persona deve possedere e che nessun altro può toglierle.

La volontaria, in seguito, ci ha consegnato il passaporto dei diritti umani che contiene la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948.

Nel corso dell’incontro successivo abbiamo ricreato in classe l’aula di un tribunale. Il professore ha assegnato i ruoli: un imputato, due avvocati dell’accusa e due della difesa, due giornalisti, due volontari di Amnesty International, mentre il resto della classe componeva la giuria.

La volontaria ci ha sottoposto un caso reale, quello di Joseph Cannon, condannato alla pena capitale il 22 aprile ´98, in Texas, per un omicidio commesso nel 1977, quando aveva 17 anni. All’inizio del processo, un nostro compagno, che impersonava l’imputato, ha letto in prima persona la storia di Joseph Cannon, prima dell’omicidio, dalle violenze subite alla mancanza di istruzione, dalla depressione all’abuso di stupefacenti. Tutte informazioni utili all’avvocato della difesa, ma che, tuttavia, non emersero mai nel corso del processo, che si concluse con la condanna a morte per Cannon.

Per concludere vorremmo elencare con chiarezza le ragioni per le quali la pena di morte deve essere abolita in tutti i Paesi del mondo: viola il diritto alla vita, si configura come omicidio da parte dello Stato, non ha alcun valore deterrente, non dà conforto ai familiari della vittima, si corre il rischio di uccidere un innocente, infligge sofferenza ai familiari dei condannati e nega qualsiasi possibilità di riabilitazione.

 

Conversando con il dottor Francesco Todaro della Comunità di Sant’Egidio siamo entrati in contatto con storie di detenuti condannati a morte in vari Paesi del mondo. Come quella di Dominique Green, un ragazzo afroamericano di trent’anni che ha ricevuto l’iniezione letale in Texas, per omicidio e rapina, materialmente non commessi, quando aveva da poco compiuto 18 anni. O quella di Tamara Ivanova Chikunova, un’attivista per i diritti dell’uomo che, in seguito alla perdita di suo figlio di 29 anni Dmitrij, condannato a morte e fucilato il 10 luglio del 2000, si è battuta per anni contro la pena capitale. Nel 2008 è riuscita a far abolire la pena di morte nel suo Paese, l’Uzbekistan. Inoltre, è stata decisiva nelle scelte abolizioniste in Kirghizistan, Kazakistan, Turkmenistan, Tagikistan e anche Mongolia. Si è fortemente impegnata, purtroppo senza successo, per l’abolizione della pena capitale in Bielorussia, unico paese europeo che ancora la conserva. Ed infine, la storia di Bill Pelke, che è riuscito a trasformare il dolore legato alla perdita di sua nonna, uccisa da una ragazza di 16 anni, in un movimento di riconciliazione tra parenti di vittime e i condannati, che si batte contro la pena di morte. Todaro ci ha ricordato che la Comunità di Sant’Egidio trasforma in petizione le richieste d’aiuto che giungono dal braccio della morte, da organizzazioni abolizioniste e da amici e familiari di condannati. Pertanto, con una firma si può contribuire a salvare una vita.

 

La pagina è stata realizzata dai ragazzi dell’istituto Fermi di Casalguidi. La redazione della classe 2B: Michelangelo Agostini, Miriam Beniamino, Leonardo Bugiani, Sofia Cangioli, Rachele Carosi, Chiara Checcacci, Sofia Cianchi, Tommaso Corsetti, Gioele Fezzardi, Sara Fonti, Maringlen Gjushi, Eleonora Kaja, Xhoan Kinaj, Klivjo Kolaj, Medea Lungu, Giulia Matteini, Brendon Mhillaj, Bertan Miruku, Edoardo Morosi, Viola Pistolozzi, Gianmarco Raimondo, Alessio Sgroi, Alessandro Tesi, Diego Tintori.

Docenti: Tommaso Cheli, Emanuela Baldi, Azzurra Nunzi, Katia Tesi e Sabrina Rubino. Dirigente scolastico: Alberto Ciampi. 

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