Hate speech: parole d’odio Come contrastare un fenomeno dilagante
Dalla segnalazione alla contro-narrazione, la società civile è chiamata ad elaborare risposte efficaci
Come sosteneva un filosofo e linguista inglese del secolo scorso, John Austin, «facciamo cose con le parole»: parliamo della realtà, ma anche la plasmiamo. Alle parole ricorriamo per costruire o distruggere legami, elogiare o rimproverare, accordare permessi o porre divieti, concedere o circoscrivere diritti. Con le parole si può fare del male. Quando, ad esempio, le si usano per manifestare astio e disprezzo verso gli altri.
L’impiego del linguaggio a questo scopo è ormai divenuto un vero e proprio fenomeno di massa, chiamato incitamento all’odio o, in inglese, hate speech. S’intendono tutte le forme di espressione che contribuiscono a promuovere e giustificare la denigrazione o la diffamazione «sulla base del colore della pelle, dell’origine nazionale o etnica, della lingua, della religione o delle convinzioni, del sesso, dell’identità di genere e di altre caratteristiche o stato personale» (Raccomandazione di politica generale n. 15 della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa). È nel web che si ridefiniscono le relazioni sociali e l’odio riesce ad esprimere le sue maggiori potenzialità distruttive, fomentando sentimenti – diffidenza, paura, intolleranza – che legittimano l’attacco e la violenza per autodifesa. Come ben spiegato nella guida di Amnesty International, l’hate speech online ha sue peculiarità: coinvolge innumerevoli utenti, nel ruolo di vittime o di perpetratori, è difficile da contenere perché si propaga in modo rapido, resta a lungo accessibile, trae forza dall’anonimato e da più o meno fondate aspettative di impunità. I discorsi d’odio sono capaci di produrre effetti nocivi a più livelli, rappresentando una minaccia per i singoli come per l’intera comunità. Rivolte a creare umiliazione e dolore, colpiscono il destinatario nell’immagine e nella stima di sé, attraverso l’attribuzione di etichette che compromettono il benessere psicologico e l’adattamento sociale. L’hate speech può diventare anche un mezzo di propaganda.
Con la sua narrazione che relega in posizioni d’inferiorità, lede i diritti che garantiscono un’eguale partecipazione alla vita civile. Di fronte a espressioni d’odio non si può restare passivi. Una prima modalità d’intervento consiste, se i messaggi trovano ospitalità in un social, nel segnalarli per la rimozione. Importante precisare, a questo proposito, che non è garantita la libertà di manifestazione del pensiero laddove siano intaccati il principio di uguaglianza e i diritti inviolabili dell’uomo. Un altro mezzo è il cosiddetto counter speech: un intervento educato ed ironico finalizzato a dissuadere l’aggressore.
L’antidoto più vigoroso, però, non può essere che la conoscenza contro l’ignoranza di chi non sa emanciparsi dai pregiudizi, di chi si lascia condizionare dagli stereotipi e non guarda oltre. La mente deve stare sempre vigile perché «il sonno della ragione genera mostri».
Abbiamo avuto l’opportunità di conoscere Carlotta Cubeddu, autrice, insieme a Federico Taddia, del libro «Penso, parlo, posto. Breve guida alla comunicazione non ostile». Progetto editoriale nato dalla collaborazione con l’associazione Parole O Stili e ispirato al «Manifesto della comunicazione non ostile», una carta che elenca dieci princìpi utili ad incoraggiare in Rete comportamenti rispettosi.
Cosa c’è alla base dell’hate speech?
«La diffidenza, innescata dal confronto con persone che hanno caratteristiche differenti rispetto alle proprie. Chi è «diverso» appare strano e, per questo, pericoloso«.
Come si fa a non lasciarsi influenzare?
«Se condivise da tante persone, le idee acquistano autorevolezza.
Avete mai sentito parlare di «effetto gregge»? È il modo di definire il comportamento per cui le persone in gruppo tendono a seguire gli altri. I ricercatori hanno scoperto che cinque persone-pastore sono in grado di far muovere quasi diecimila persone-gregge. Bisogna, dunque, stare molto attenti e cercare di pensare con la propria testa».
Come si può arginare il fenomeno?
«Imparando, innanzitutto, a gestire nella maniera più sana la rabbia che ognuno ha dentro di sé. Questa è la premessa se si vuole favorire il ridimensionamento delle espressioni violente, sfogo di sentimenti negativi, e nello stesso tempo l’incremento delle parole belle che rendono il mondo un posto migliore e più accogliente».
Ecco i nomi dei giovani giornalisti della 1 C della Scuola Secondaria di primo grado Dino Compagni: Aleksic Mirna, Andreoni Davide, Awad Yossef Abdelfattah Abdelghaffar Abdo, Barbieri Giovanni, Bastiani Teresa, Bellandi Davide, Bongiovanni Alessandro, Cagnacci Teresa, Carrano Mattia, Cencetti Mia, Cordova Santos Sergio Giovanni, Corrado Mattia, David Blessie Grace, Gestri Pietro, Gori Carolina, Guarducci Alessia, Mascio Mattia, Monticelli Viola, Nocentini Greta, Roselli Aurora, Salani Lorenzo Joaquin, Serrano Aisha Marie, Svab Marko, Tarchiani Valeria, Trombetta Giorgia, Zaghi Vera. Dirigente Scolastico: Dott.ssa Laura Guido. Docente tutor: Prof.ssa Serena Quartini