ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

CPIA A. Manzi di Sarzana (SP) - L2

Missione: istruzione degli adulti Cpia dedicato al Maestro d’Italia

L'intitolazione verrà celebrata all'inizio del prossimo mese verrà coinvolta anche la figlia

Da quest’anno, il Cpia La Spezia prende il nome di «Alberto Manzi».

L’intitolazione verrà celebrata dalle quattro sedi del Centro all’inizio di marzo con un’iniziativa che vedrà coinvolta anche la figlia del «Maestro d’Italia», Giulia Manzi, autrice di un bel libro, Il tempo non basta mai, che svela i lati meno noti della vita del padre. Le motivazioni di questa scelta sono evidenti: Manzi, infatti, è stato un precursore, un anticipatore, un visionario, capace di creare empatia con milioni di studenti, in presenza o attraverso lo schermo televisivo. Il parallelo con le tecnologie odierne è chiaro: ogni strumento, per quanto potentissimo, necessita di un grande interprete per risultare efficace. Nato e cresciuto a Roma, in una famiglia antifascista, tra la passione per lo studio e la presenza tangibile della guerra, consegue in parallelo due diplomi (magistrale e nautico) e si iscrive all’università a Scienze naturali, sfidando la realtà difficile del dopoguerra, tra timori e speranze per un domani migliore che arriverà, ma non sarà subito così radioso come sperava: persone alla fame, costrette a vivere di espedienti, la promessa di giustizia e di uguaglianza minata dalla corruzione e dai privilegi, la triste realtà di chi non vede riconosciuti meriti ed eccellenze solo perché senza raccomandazioni. E Manzi, così, si trova a dover accettare lavori rifiutati da tutti, maestro in un carcere minorile, dove i detenuti si portano addosso una pesante profezia negativa: se hanno rubato, se sono stati violenti, se hanno ucciso, il loro destino non può che passare dal «riformatorio» al carcere ordinario.

Manzi riesce dove altri avevano fallito: le mani dei pugni e dei furti ora impugnano lapis e penne, portate di nascosto all’interno del carcere, e si impegnano a recuperare quelle competenze che fanno balenare in loro una prospettiva diversa. Il percorso successivo è tra l’insegnamento alla scuola elementare, gli studi universitari di Biologia e di Magistero, lo spirito di avventura mai fine a se stesso ma radice profonda del suo modo di pensare l’educazione attraverso l’esperienza. Con queste premesse, Manzi si presenta nel 1960 alla sede della RAI, dove stanno cercando un maestro per una serie di trasmissioni dedicate ai tanti italiani ancora analfabeti. Tocca a lui: alcuni grandi fogli di carta, del carboncino e… la lezione inizia. In pochi minuti, tutto lo studio è catturato dal suo stile pacato, appassionato e appassionante; con il carboncino scrive alcune parole e le accompagna con un disegno, facilitando così la comprensione e mantenendo alta l’attenzione degli spettatori. Senza dubbio, un modello cui ispirarsi ancora oggi.

 

Parlando con chi c’era negli anni ’60, abbiamo avuto conferma di quanto fosse atteso ogni sera il programma di Manzi. «Andiamo che c’è il Maestro!» si diceva. Vederlo in azione, mentre disegnava, ha solleticato la nostra curiosità. Le sue parole non erano mai noiose, ma appassionate e comunicative. Non insegnava solo a leggere e a scrivere, ma dava voce al mondo di allora, non quello scintillante delle città in pieno boom economico, ma quello dei mille e mille paesini rurali, delle nonnine velate, degli uomini con il vestito della domenica ma le mani segnate dal lavoro. Loro erano i protagonisti e da loro partiva il maestro Manzi. Era l’Italia dove, anche in città, l’orto conviveva con l’officina, il fango sulle scarpe con la fabbrica. E nei bar, nei cinema, nei locali pubblici, dove c’era un televisore, milioni di italiani passavano insieme davanti allo schermo il tempo di una lezione, prima di rincasare: portavano con sé quaderno, penna o lapis, ascoltavano e si sentivano parte di quella immensa classe di 302.073 km² che è l’Italia. E Manzi era lì a motivare i suoi alunni, a farli sentire in grado di raggiungere l’obiettivo nonostante l’età avanzata, la disabitudine al mondo dei libri, la tradizionale rassegnazione dell’«ormai è tardi». No, non è mai troppo tardi. Nemmeno per chi come noi viene prevalentemente da altri Paesi, altre lingue, altre culture e spesso incontra qui in Italia la sua prima esperienza scolastica. Parola di Alberto Manzi.

 

La classe del Cpia La Spezia, sede di Sarzana, è composta da studenti provenienti da tre tipologie di percorso: primo periodo (ex-licenza media); secondo periodo (biennio generalista) in vista del triennio delle scuole superiori; classe multilivello di Italiano L2, per migliorare la conoscenza della lingua italiana. Eccoli: Sanae L., Khadija C., Oxana C., Ouissal A., Franceska M., Heny W., Mamadou M., Haruna A., Mohamed K., Maikol M., Artiom M., Mihaela T., Sara A., Hanane C., Mamadou A.

D., Fatima Zahra D., Fatima Z. M., Fatima L., Chaima D., Aya D., Zakia E. H., Igli X., Agnes Carole A. N., Yeimi L. C., Oleksandr S., Wonte Pacome T., Rekia A., Elisabeth S. B., Alhaji Bankoh F., Kabinè C., e molti altri, coordinati dai docenti Letizia Pappalardo, Pierluigi Iviscori, Daniela Garau e Giulia Festa. Il Dirigente scolastico è il prof. Andrea Minghi.

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