ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

IC Galileo Galilei di Pieve a Nievole  (PT) - 2A

Siamo cittadini a fianco dello Stato

La lotta alla mafia si può imparare fin da piccoli. La nostra formazione sul testo «Perché mi chiamo Giovanni»

Siamo tutti cittadini piccoli e grandi a fianco dello Stato per combattere insieme e vincere ogni esercizio di violenza volto all’affermazione del proprio potere. La riflessione sulla mafia parte dalla lettura del libro «Perché mi chiamo Giovanni» di Luigi Garlando sul tema della mafia. L’origine del termine aveva inizialmente una connotazione positiva, perché nel periodo antecedente l’unità d’Italia i mafiosi contrastavano le ingiustizie e difendevano gli orfani e le vedove. I mafiosi, oggi, in realtà, credono che solo la legge del più forte valga e non si fanno scrupoli ad uccidere brutalmente coloro che non sottostanno alle loro prepotenze. Questi «uomini d’onore» ritengono che l’omertà sia la qualità più importante di un uomo perché è considerata una forma di solidarietà. Il mondo della mafia ha un linguaggio specifico, ad esempio «lupara bianca» è l’uccisione dei bambini come successe al povero Giuseppe Di Matteo sequestrato, strangolato e gettato nell’acido perché era il figlio del pentito Santino. L’ordine partì da Giovanni Brusca della banda dei Corleonesi che fu anche trai responsabili della strage di Capaci in cui morì il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta. Falcone, fin da giovane, si dedicò a debellare la mafia. Per proteggersi dagli attentati dei mafiosi, fu costretto a vivere in una caserma a Palermo e in una prigione in Sardegna.

Falcone ed altri integerrimi uomini diedero vita al Pool Antimafia che portò all’istituzione del Maxi processo di Palermo in cui per la prima volta nella storia, i mafiosi furono condannati all’ergastolo.

Fu un goal incredibile, una vittoria clamorosa, che però portò alla strage dove persero la vita proprio Giovanni Falcone e la sua scorta. Anche il papà del piccolo Giovanni, protagonista del libro, era stato vittima della mafia a cui pagava il pizzo ma alla quale aveva anche trovato il coraggio di ribellarsi proprio dopo la strage del 1992.

Durante i funerali di Falcone e della scorta, la moglie di una delle guardie del corpo del giudice, pronuncia le seguenti parole: «Uomini d’onore, avete perso. Avete commesso l’errore più grande perché tappando cinque bocche, ne avete aperte cinquanta milioni». Questo discorso simbolico e le lettere appese all’albero di Falcone ci danno la speranza per un avvenire migliore perché fin da piccoli è importante conoscere il mostro della Mafia per poterlo combattere e sconfiggere.

 

Abbiamo intervistato Pietro Marini (nella foto), già sottufficiale, ora in congedo, dell’Arma dei carabinieri e attuale presidente della sezione Pescia-Collodi dell’associazione nazionale carabinieri.

Ha indagato su casi mafiosi? «Sì, anche a Montecatini».

Esiste una correlazione tra il bullismo e la mafia? «No, sono due cose diverse».

Chi sono gli eroi della mafia? «Tutte le persone che hanno dato la loro vita per difendere la libertà e affrancarci dal cancro della mafia. Sono eroi perché si sono messi a disposizione della collettività per sconfiggerla, scontrandosi a volte contro l’ignoto in una lotta impari».

Come si diventa mafiosi? «Quando non è presente il diritto al lavoro sancito dalla nostra Costituzione. Esiste solo la mafia siciliana? No, esistono tanti tipi di mafie come quella russa, cinese e altre, ma tutte sono accomunate dal fatto che convivono con il malaffare: appalti illegali, smercio di droga e altre attività finanziare illecite».

Quali sono le attività economiche della mafia? «Tutte quelle in cui prevale l’interesse economico. Esiste anche la cosiddetta ecomafia, quella che è entrata nel mondo dell’ecologia, in particolare nello smaltimento «criminale» dei rifiuti a danno dell’ambiente».

Cosa fare nel nostro piccolo, per combattere la mafia? «Possiamo fare tanto! Bisogna aver rispetto della legalità e fare squadra pensando che la legalità sia la miglior cosa e il bene di tutti».

 

Il protagonista del libro «Io Bullo» di Giusi Parisi, è Alessandro, un ragazzo bullo. Vive in un contesto difficile, suo padre è in prigione, accusato di un crimine.

Prova rabbia, a scuola fa il bullo e i professori non riescono a fargli cambiare atteggiamento. La svolta si ha con l’arrivo di una nuova professoressa di italiano, la De Lisi, che ha un approccio diverso con lui. Alessandro prima delle vacanze di Natale fa uno «scherzo» alla sua vittima preferita, Danilo: gli prende il diario e gli scrive parole offensive.

Al rientro Danilo non c’è. La De Lisi, arrabbiata, dice che Danilo non ha più mangiato per gli insulti ed è in coma. Rimprovera tutti come colpevoli, anche chi sapeva e non ha denunciato.

Mostra una bully box chiedendo a chiunque avesse subito atti di bullismo di scrivere un biglietto e metterlo nella scatola. Alla lettura dei biglietti Alessandro si vergogna e si sente in colpa per Danilo. Finalmente Danilo si sveglia dal coma e Alessandro chiede scusa a lui e a tutti coloro che ha offeso. Il libro ci dimostra come un ragazzo incontrando le persone giuste riesce a cambiare.

Istituto comprensivo «Galileo Galilei» di Pieve A Nievole, 2a: Alessio Aresti, Olga Baldacci, Viola Barelli, Francesco Bartolini, Elisa Bettaccini, Pasquale Bonelli, Isabella Brruku, Jacopo Marco De Rosa, Gabriele Delfino, Matteo Donnini, Vittoria Fasciana, Tommaso Galgani, Aurora Lenzi, Thomas Lo Casto, Edoardo Maccioni, Fabio Milione, Elisa Morello, Leonardo Nesi, Giacomo Pacini, Matteo Paponi, Dennis Plumari, Laura Poggiali, Chiara Porretta, Gaia Selmi, Elio Sina.

Docenti: Elena Calistri, Giovanna Possemato.

Dirigente: Rossella Quirini

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