ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Alto Casentino di Pratovecchio Stia (AR) - 2A

Quei mestieri che non ci sono più

Da una parte la febbre delle start-up, dall’altra l’addio a ciabattini, arrotini, maniscalchi, scalpellini, stagnini

In molti confondono il lavoro con il mestiere e viceversa, ma non tutti sanno che in realtà hanno significati diversi: il lavoro richiede competenze specifiche generalmente apprese all’interno di un percorso scolastico, mentre il mestiere è un’attività dove l’uso delle mani è prevalente, dove le competenze sono apprese a bottega e dove c’è una ricaduta a servizio della comunità. Molti mestieri, come quelli del settore artigianale, sono lavori che pochi scelgono di fare perché sono molto faticosi e richiedono tempo. I giovani guardano alla modernità, all’innovazione, aprono startup, lavorano in agenzie di comunicazione: la tecnologia si sta sostituendo al lavoro manuale e il primo a soffrirne è proprio l’artigianato.

Gli antichi mestieri sono frutto dell’ingegno dell’uomo che ha saputo sfruttare abilità manuali, potenzialità del territorio, necessità legate ai borghi o alle campagne per mettere a servizio degli altri le proprie competenze.

Riflettendo su questi aspetti abbiamo avuto la possibilità di capire le nostre radici, i luoghi da cui proveniamo e il modo in cui l’uomo è riuscito a arrivare al giorno d’oggi per non dimenticare una parte fondamentale del nostro passato, ma anzi di tramandarla. Una volta c’erano tanti mestieri che ora non esistono più, come: il ciabattino che creava e riparava le scarpe; l’arrotino che affilava i coltelli e le forbici; il cenciaiolo che comprava le pellicce di coniglio e le penne di uccelli per poi rivenderle; il seggiolaio che andava per le case a riparare sedie; lo stagnino che riparava le pentole consumate con toppe di rame; la lattaia che versava latte fresco per le famiglie nei contenitori lasciati fuori dalla porta; il maniscalco che metteva i ferri agli zoccoli del bestiame con un oggetto chiamato travaglio. Altri mestieri erano legati alla transumanza e al ciclo delle stagioni: il boscaiolo, il vergaio, il tosatore di pecore. L’allevamento del bestiame forniva altre occupazioni tipiche dei borghi rurali come il fabbro, il falegname o il castrino, figura itinerante per i paesi con il compito di castrare i maiali per l’ingrasso o i polli destinati a divenire capponi.

Il bosco e la montagna hanno dato vita per secoli a mestieri come il carbonaio, il macchiaiolo, il tagliatore, il bracino: la loro opera è stata fondamentale per mantenere in ordine le foreste ed evitare i danni ambientali che conosciamo legati all’erosione, alla perdita di suolo, al disboscamento senza criterio.

Insieme alla perdita di competenze inestimabili rischiamo di perdere i valori legati ad un mondo che in molti si sono ritrovati a rimpiangere, soprattutto dopo la pandemia, che ha messo in luce la necessità di ritrovare un più stretto contatto con la natura e privilegiare ritmi di vita più lenti e semplici.

 

Abbiamo intervistato Maria Lippi, per anni sarta. Quali erano le fasi di lavoro per confezionare un vestito? «Ci sono molti procedimenti, per prima cosa si mette la stoffa su un piano poi i modelli sulla stoffa. Successivamente si prendono le misure e si segnano i lati sulla stoffa con il gessetto, poi si taglia e si fanno i punti molli, si fa provare il vestito e si fanno le dovute correzioni poi si stirano le cuciture e si fanno gli orli».

Che abiti erano richiesti? «Di tutti i tipi: gonne, cappotti, camicette, vestiti per bambini, abiti da sposa e comunione».

Perché i questo mestiere non attira più i giovani? «I giovani non hanno più pazienza e questo mestiere ne richiede molta sia con il cliente che nel creare l’abito».

Quali i “ferri del mestiere”? «L’ago, il ditale, che serviva a non bucarsi le dita quando si cuciva, le forbici, il gessetto e la macchina da cucire».

Invidiava chi faceva un lavoro d’ufficio? No, perché facevo il mestiere che mi piaceva e non avevo orari: se volevo andare da qualche parte non dovevo chiedere il permesso ma poi dovevo lavorare finché l’abito non era pronto.

Perché rattoppare i vestiti? «Ha un significato di risparmio e permette di non buttare un abito quando si può ricucire».

 

Si sono appena concluse le selezioni per i 20 candidati alla Scuola per Pastori nelle Foreste casentinesi L’obiettivo della Scuola è di realizzare un percorso di formazione per nuovi pastori e allevatori.

Negli ultimi anni c’è stato un riavvicinamento alla “terra” e alla natura da parte di molti giovani. Oggi il pastore ha un ruolo centrale per la conservazione della natura e perfino nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico. Il pascolamento degli animali, aiuta a ridurre, mantenendo bassa la vegetazione, la diffusione degli incendi. E’ un lavoro duro, gli animali vanno curati e gestiti tutti i giorni e i giorni di festa sono pochi. Però offre grandi soddisfazioni per chi ama gli animali e la vita all’aria aperta. Gli animali che alleva il pastore possono essere tanti, dalle vacche che sono quelle più comuni, alle pecore, le capre, i cavalli. La scuola di pastori del progetto LIFESHEPFORBIO si concentrerà sugli allevamenti ovicaprini e di bovini. Il loro allevamento è funzionale per la produzione di carne o di latte e quindi di formaggi.

Gli allevatori che usciranno dalla scuola avranno poi la possibilità di aprire in proprio un’attività per mettere a frutto le competenze acquisite.

STUDENTI Nicola Acciai, Sara Alili, Ahmed Al Nayan, Emma Brilli, Luciano Brunetti, Emma Campani, Valentina Cerini, Federico D’Avenia, David Andrej, Maria Cristina Duma, Adele Ghelli, Bianca Giannetti, Mattia Leonardi, Matilde Mancini, Martino Masetti, Elettra Meazzini, Mattia Mori, Filippo Paoletti, Serena Scalzo, Manuel Sensi, Sidney Settimelli INSEGNANTE Lara Alterini PRESIDE Maurizio Librizzi

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