ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Granacci di Bagno a Ripoli (FI) - 2C

Il carcere: punizione o recupero?

La Costituzione Italiana prevede la rieducazione del condannato. Ma servono progetti concreti

Dal successo della serie tv «Mare fuori» che ha appassionato anche molti di noi, ci siamo interrogati sulle condizioni carcerarie anche della nostra zona.

Sono luoghi di detenzione e pena o anche posti da cui poter ripartire, dove imparare qualcosa di nuovo? Ad oggi molti pensano che il carcere abbia il solo scopo di sanzionare le persone che hanno violato la legge, quindi il periodo di detenzione costituirebbe esclusivamente una punizione, che ti priva di vivere liberamente e senza spazi, come si percepisce anche nella serie «Mare fuori», dove vediamo un carcere invivibile, che purtroppo descrive la realtà.

La nostra Costituzione all’articolo 13 afferma: «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge» e, soprattutto, all’articolo 27 sancisce che «la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Il carcere, quindi, dovrebbe essere concepito come recupero, oltre che come pena, per mezzo del quale le persone vengono rieducate e possono imparare qualcosa di nuovo, anche attraverso alcune associazioni e attività che forniscono assistenza. Ci sono degli istituti di prigionia che offrono più assistenza di altri: ad esempio l’isola di Gorgona è una delle poche isole-carcere dove i detenuti hanno la possibilità di gestire le attività economiche e commerciali.

Per quanto riguarda le carcere minorili, nel sistema giudiziario esistono molti percorsi diversi per i minori: alcuni vengono inseriti direttamente nella comunità per sottoporsi a programmi di riabilitazione, mentre altri, che possono rappresentare una minaccia maggiore per la società e per se stessi, hanno la necessità di un soggiorno in un centro di detenzione minorile sorvegliato. Una caratteristica che accomuna carcere ordinario e carcere minorile è l’alta percentuale di detenuti che hanno avuto un percorso scolastico incompleto: è per questo, quindi, che gli istituti penali si impegnano a offrire percorsi di studio finalizzati al recupero dei detenuti che così, una volta «fuori», possono più facilmente riuscire ad avere una seconda chance.

 

Abbiamo incontrato Linda una volontaria dell’associazione Vol.a.re (Volontari ai reclusi): ci ha parlato della sua attività e di come vivono i carcerati.

Come si vive in un carcere? «La vita in carcere è molto dura: gli spazi sono ristretti e poco accoglienti. I carcerati, in genere, condividono la cella in due o più persone e la privacy è quasi inesistente».

Cosa avviene all’interno? «Il carcere dovrebbe aiutare le persone che hanno commesso errori a ricostruire la loro esistenza magari imparando un lavoro o rendendosi utili per la società dopo aver scontato la pena. In realtà, spesso questo non accade per problemi di organizzazione e sovraffollamento. In più, la riuscita della riabilitazione può dipendere anche dalla tipologia di detenuto con cui si divide la cella».

Come si comportano i carcerati? «Il comportamento dei carcerati varia a seconda delle persone e della loro storia ed è influenzato dall’ambiente circostante».

Quante guardie ci sono per ogni cella? «In genere nei carceri sono presenti due guardie per piano, ma oggi la sorveglianza è lasciata sempre di più alla tecnologia e le guardie intervengono in base al bisogno registrato dalle telecamere»

 

La Pet-Therapy è una specifica terapia, tuttora sperimentale, inventata da Boris Levinson nel 1953 che consiste nel rieducare e aiutare durante il percorso di riabilitazione psicologica e fisica tramite un animale così che il paziente si leghi a quest’ultimo e, creando un legame, si abituino a prendersi cura l’uno dell’altro, mettendo in atto questo concetto anche nella vita di tutti i giorni. Solitamente vengono utilizzati in questa attività gatti e cani, come per esempio i labrador per il suo carattere docile e mansueto. Alcuni operatori vanno settimanalmente dentro il carcere portando alcuni animali e facendo instaurare un rapporto tra questi e i carcerati.

Molte testimonianze di ex detenuti che hanno seguito questa terapia confermano che passare del tempo con un animale, accarezzandolo, curandolo e parlando apertamente con esso senza essere giudicato possa «sbloccare» e portare il detenuto a compiere azioni di bene, completando il percorso di terapia. Si spera che diventi più popolare nei carceri Italiani essendo un grande aiuto nel recupero dei carcerati e per la reintegrazione nella «nuova vita«.

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