ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

CPIA Sarzana di Sarzana (SP) - L2

Le aule come specchio del mondo

Racconti di disperazione e tribolate migrazioni da nazioni diverse alla ricerca di un futuro migliore

Il mondo si incontra a scuola.

Un mondo in miniatura che si riunisce quotidianamente nello spazio ridotto di un’aula, all’inseguimento di un sogno collettivo: un titolo di studio, ma prima di tutto – parlando di adulti, come nel caso del CPIA – la comunicazione, il confronto, il dialogo, l’inserimento nel mondo del lavoro e in una società diversa dalla propria, a partire dalla lingua. La meta ha distanze diverse per ciascuno, talvolta direttamente proporzionali a quelle del Paese d’origine, soprattutto se manca un percorso scolastico precedente. È così che si ritrovano qui tutte le anime migranti confluite in Italia: chi è entrato regolarmente per lavoro, chi per ricongiungimento familiare, chi da profugo, via mare o via terra, chi con un visto turistico. Sono tutti qui per un motivo valido: la ricerca di un futuro migliore, talvolta la mera sopravvivenza. I percorsi per regolarizzare le loro posizioni sono spesso lenti e tortuosi, come ci ricorda Aurora, peruviana: ci sono voluti due anni, nonostante l’aiuto di familiari e amici. E le è andata bene. Chi come Nadeem, pakistano, ha seguito la rotta balcanica, spesso ha impiegato a per-correrla alcuni anni, in parte a piedi, in parte in pullman o in treno, passando per tanti stati con lingue diverse: Iran, Turchia, Grecia, Macedonia del Nord, Serbia, Croazia, Slovenia, talvolta Ungheria, Germania, Austria e poi Italia. Fame, sete, violenza disumana di talune polizie, braccati nei boschi, stretti tra barriere anti migranti e guardie impietose. Irfan, invece, in Italia dalla fine del 2021, è arrivato per la stessa via della tragedia di Cutro, via mare dalla Turchia, pagando settemila euro in contanti per un viaggio i cui rischi oggi sono tristemente sotto gli occhi di tutti. Dalla Libia o dalla Tunisia: tutte storie molto simili.

Due, tre, cinque giorni su un barcone strapieno e malsicuro, in attesa di un approdo o di un soccorso, dopo il terrore di un mare che al largo delle coste africane si fa sempre più grosso.

Scompare il sorriso quando si va a toccare la memoria del viaggio, un trauma che traspare nei silenzi: non avevano immaginato un mare così potente e vorace, da inghiottire barche, navi, amici, parenti, compagni, sogni. Alcuni guardano al loro viaggio con gli occhi della memoria, a distanza di anni; altri, invece, arrivati da poco, lo hanno ancora negli occhi. Certo, la scuola è luogo di istruzione e di apprendimenti, ma è anche un laboratorio artigiano per riparare tessuti lacerati da uno strappo, da una separazione dolorosa, da ricucire con il filo della speranza.

 

Molti migranti non pensano di fermarsi qui: la loro meta è in Paesi più in linea con la loro lingua, a seconda della loro matrice anglofona o francofona, spesso con punti di riferimento già sul territorio. Come non capirli? Vivere in un Paese che, per quanto accogliente, si esprima in una lingua molto lontana dalla propria non è facile; la scuola offre percorsi per raggiungere un buon livello di competenza linguistica, ma una lingua non si impara in qualche ora, soprattutto se manca l’esperienza scolastica di base e una lingua ponte per le prime comunicazioni.

Pensiamo agli italiani che per un centinaio d’anni sono stati migranti verso Paesi non italofoni: l’America Latina, gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, il Belgio (Svizzera a parte, dove l’Italiano è lingua ufficiale, nel Canton Ticino); gli italiani non avevano quasi mai una lingua ponte su cui contare, anzi spesso erano analfabeti: solo forza, manualità, esperienza, a volte intuito e scaltrezza. Volenterosi, determinati, capaci di stringere i denti, molti ce l’hanno fatta, altri no.

Decine di milioni di italiani emigrati, tante storie da raccontare. Storie non molto lontane da quelle di chi oggi arriva in Italia.

 

Molti discendenti di emigranti italiani, alcuni partiti negli anni Ottanta del XIX secolo, altri, invece, emigrati nell’immediato dopoguerra, sono rientrati in Italia: Daniel, brasiliano con un nonno veneto e uno piemontese; Augusto, argentino, con un bisnonno siciliano; Paolo, il cui padre, Mario, emigrò nell’immediato dopoguerra: classe 1922,spezzino di Rocchetta Vara, V elementare, marinaio fin dal 1940, internato in Germania dopo il 1943, rientrato in Italia a guerra finita, Mario si imbarcò per Buenos Aires nel 1950, trovò lavoro in una ditta edile italiana, poi si trasferì in Cile e, più tardi, a Montevideo, in Uruguay, dove mise su famiglia. Lavoratore instancabile, si costruì casa, bottega, un market e, infine, una gelateria. Ma il colpo di stato del ‘73 cambiò tutto e Mario tornò in Italia, dopo 24 anni, ripartendo dalle sue ’mani d’oro’, per mantenere la famiglia: qualche lavoro per l’Arsenale, insufficiente per sbarcare il lunario, molte ’giornate’ per arrotondare. Una vita in salita. Storie dure, di scommesse con una posta molto alta. Storie d’altri tempi, così simili a quelle di molti migranti odierni, con un futuro tutto da immaginare, da costruire mattone per mattone, da proteggere stringendo i denti.

La classe del Cpia La Spezia, sede di Sarzana, è composta da studenti provenienti da tre tipologie di percorso: primo periodo (ex-licenza media); secondo periodo (biennio generalista) in vista del triennio delle scuole superiori; classe multilivello di Italiano L2, per migliorare la conoscenza della lingua italiana. Eccoli: Alina F., Amada C., Aurora R., Luca B., Sabrina B., Claude T., Musa Achema S., Igli X., Fatima K., Zaineb O., Fama G., Salif D., Libei Z., Davide L., Khadija C., Oxana C., Lesia M., Olha D., Olha L., Omar Gul K., Nataliia S., Luigi R., Yusupha Th., Buba B., Klementina B., Ouissal A., Shyamu C., Ebere D. I., Sunday N., Tokula, Md Ferdous, Nadeem A., Irfan, Faysal A., Augusto A., coordinati dai docenti Letizia Pappalardo, Pierluigi Iviscori, Daniela Garau e Giulia Festa. Il Dirigente scolastico è il prof. Andrea Minghi.

Votazioni CHIUSE
Voti: 1

Pagina in concorso