Su Pegaso gli angeli del soccorso
La testimonianza di due dottoresse impegnate in difficili operazioni di salvataggio. «Sacrifici e soddisfazioni»
«Quando sali su Pegaso hai paura, ma poi quando arrivi dal paziente sei concentrato solo su lui»: così Silvia Pini, da quattro anni medico rianimatore in servizio sull’elicottero Pegaso, intervistata dagli alunni delle classi quarte della scuola primaria «Vasco Morroni» a Ghezzano.
Con lei, tra i bambini anche l’amica e collega Maria Martelli, mamma di una alunna.
L’intervento più difficile? «Stavamo sorvolando un bosco per soccorrere un cacciatore che si era sentito male e non riuscivamo proprio a trovare il luogo esatto in cui scendere a causa dell’alta vegetazione che copriva la nostra visuale. Finché i compagni del cacciatore hanno acceso un fumogeno per mostrarci la via. Subito ci siamo calati con il verricello, ma siamo finite nel fango e abbiamo capito che da quel luogo non saremo riuscite a risalire. Dopo i primi soccorsi, abbiamo trovato un passaggio su un furgoncino per cercare un altro punto dove risalire in elicottero».
Significativa anche la testimonianza portata da Maria Marelli, medico di rianimazione all’ospedale «Nuovo Santa Chiara» a Cisanello (Pisa), entrata in servizio da poco.
Cosa l’ha spinta a diventare una soccorritrice di Pegaso? «Amo il mio lavoro di medico.
Ma desideravo fare qualcosa di più. Quando mi si è presentata l’opportunità di prestare servizio su Pegaso, ho cominciato a prepararmi. E, grazie alla mia amica Silvia, ho superato le mie paure iniziali».
Come è andato e cosa ha provato durante il suo primo inter-vento? «Ho provato curiosità e ansia.
La prima richiesta di aiuto è arrivata dopo nemmeno un minuto della mia entrata in servizio in uno dei primi giorni di lavoro… ero emozionata… nemmeno il tempo di abituarmi all’elicottero e in pochi istanti eravamo già arrivati sul posto e mi hanno calata giù con il verricello per salvare un uomo giovane con problemi al cuore. Alla fine è andata bene: il giorno dopo i colleghi dell’ospedale mi hanno detto che quella persona soccorsa se la sarebbe cavata».
L’identikit del soccorritore? «Un uomo o una donna che svolge questo servizio con piacere e passione, capace di star bene con sé stesso e di far star bene chi ha accanto. Un uomo o una donna cui non è chiesto di non aver paura, ma di riuscire a superarla. Poi tanto studio, tanta fatica e capacità di rinunciare a molto pur di raggiungere l’obiettivo che ci si è prefissi».
Quanto la pagano per rischiare la propria vita? «Dipende. L’importante, però, in questo servizio non sono i soldi, ma sentirsi appagati moralmente da ciò che si fa».