ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Viani di Viareggio (LU)

Apuane, i monti “invisibili” di casa

Paesaggio, natura e turismo nella complessa convivenza con gli interessi dell’industria estrattiva

VIAREGGIO Affacciate sulla costa, le Alpi Apuane fanno da cornice alla Versilia. In poche decine di minuti di auto, infatti, dalla spiaggia si può passare a vette che arrivano a sfiorare i 2000 metri, ammirare ben due terzi delle specie vegetali presenti in tutta Italia, osservare animali da fiaba, toccare la storia dei nostri antenati più lontani. Scoprire le Alpi Apuane infatti significa fare un viaggio alla scoperta di geologia, flora, fauna, preistoria.

Questa catena montuosa che fa parte del Subappennino toscano ha numeri da capogiro: si sviluppa per circa 60 km, con una larghezza di 25 km, occupando una superficie totale di 1300 km quadrati, di cui circa 800 montuosi. Dal 1985 inoltre i monti Apuani fanno parte del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, oggi patrimonio dell’Unesco. Dalle principali vette, come il Pisanino, il Cavallo, la Tambura o la Pania della Croce, si gode una vista spettacolare e si possono ammirare panorami che è difficile immaginare possano essere così vicini al mare.

Ci sono poi le grotte: le Alpi Apuane infatti sono in gran par-te formate da rocce di natura calcarea, perciò l’acqua è potuta entrare all’interno delle montagne. Si contano in tutto 2000 grotte, quasi tutte però esplorabili solo da esperti. Tra queste, l’Abisso Roversi detiene il primato: con ben 1350 m di dislivello è la grotta più profonda d’Italia.

Le Apuane poi godono di un microclima che consente la vita di un’eccezionale varietà di flora, in cui si contano circa i due terzi delle specie vegetali presenti in Italia. Anche la fauna è molto sviluppata: si possono facilmente incontrare animali più comuni come il ghiro, la faina, lo scoiattolo, il cinghiale, o quelli più rari come il lupo, che si è stanziato sulle Alpi Apuane per decisione propria, senza l’intervento dell’uomo. Tantissimi anni fa inoltre si potevano trovare l’orso e la lince, che però hanno deciso di andarsene. Già osservandole dalla costa però si può notare una delle caratteristiche principali di questa catena montuosa: la presenza di cave. Sono in tutto 675, di cui 510 dismesse e 165 attive, da cui si estraggono diversi tipi di marmo. Il più famoso è il marmo bianco, che è un vero e proprio prodotto “made in Versilia”: si estrae circa 5 milioni di tonnellate all’anno, di cui però diventa un blocco solo il 25%; la parte restante infatti si tratta di scaglie, utilizzate per il carbonato di calcio, spedito alle industrie che operano in vari settori, come la farmaceutica o la metallurgica. Ma l’estrazione ha una doppia valenza, poiché è sì una risorsa, ma anche un danno. Uno tra i maggiori problemi delle cave infatti è la produzione della marmettola, un fango composto da acqua e residui del marmo che si crea durante l’attività di estrazione. La marmettola poi scende a valle e riempie i corsi d’acqua (sotterranei e non) e ne impermeabilizza il fondo, l’acqua a questo punto bloccata, deve trovare un’altra strada per continuare il suo percorso e questo causa le alluvioni, molto frequenti nei comuni a valle delle cave, ma determina anche la scomparsa di molte sorgenti e di corsi d’acqua e l’inquinamento delle acque superficiali e delle falde. È incredibile quanto il paesaggio si sia trasformato negli ultimi cinquant’anni a causa di questa attività, addirittura le parti di alcuni versanti non ci sono più e alcune vette si sono notevolmente abbassate. Se di questo passo la catena stessa non ci fosse più, diventasse “invisibile” alla nostra vista oltre che alla nostra consapevolezza… cosa faremmo?

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