Convivere con i disturbi alimentari
Un’intervista per spiegare le difficoltà dei giovani nel rapporto con il cibo e come riescano a uscirne
Qualche giorno fa abbiamo intervistato Margherita Brescia, una ragazza di 22 anni, che ci ha parlato di come convive con il suo disturbo alimentare e di come sta cercando di uscirne. Margherita aveva solo 16 anni quando ha iniziato a soffrire di anoressia per una dieta vegetariana che si è trasformata in un digiuno prolungato. Agli occhi degli altri sembrava star bene, ma i suoi genitori si accorsero che nascondeva qualcosa. Inizialmente le faceva piacere ricevere commenti sul suo fisico più magro, ma adesso davanti alla stessa situazione si sente a disagio per quello che ha passato.
Il suo percorso è iniziato con un anno di ricovero in un importante ospedale pediatrico fiorentino, dove ha conosciuto ragazze e ragazzi con il suo stesso problema, per poi essere trasferita in un Centro specializzato ad Arezzo. Il suo disturbo alimentare è diventato anche un disagio sociale, per questo ha dovuto interrompere gli studi; questa scelta di conseguenza ha portato alla perdita di tutti i legami con gli amici.
All’ospedale una psicologa e una dietista la seguivano in una terapia alimentare. Alcuni giovani condividevano il disagio di Margherita si rifiutavano di mangiare ed erano costretti alla nutrizione forzata: «Una ragazza non ce l’ha fatta ed è morta a 17 anni». ci ha detto.
«L’esercizio fisico tende a diventare una fissazione, si consumano le poche calorie ingerite e ci passiamo la parte sbagliata della malattia» racconta; inoltre ci ha spiegato che all’ospedale non ti rivelano il tuo peso, questa inconsapevolezza ti aiuta a superare il senso di colpa per aver mangiato.
Dopo l’ospedale, appena maggiorenne, ha continuato il percorso entrando in Comunità .
Qui ha ricostruito la sua vita sociale, ha ripreso gli studi ed è riuscita a diplomarsi alle scuole serali, grazie anche al sostegno delle persone vicine. La mattina faceva un inserimento lavorativo in un bar, scoprendo poi che quelle 2-3 di ore di lavoro si sono rivelate fondamentali nella sua vita, ancora oggi quello è il suo impiego. L’inizio del Covid ha segnato la fine del suo percorso in Comunità . Ha avuto la possibilità di passare la quarantena a casa e anche senza educatori è riuscita a non ricadere nella malattia e in quei momenti ha capito di potercela fare anche da sola. «Da un disturbo alimentare non si esce, ma si impara a conviverci»: per questo continua a fare terapia una volta alla settimana e a recarsi al centro diurno per ritrovarsi con amici ed educatori. Ci ha salutato dicendo: «Mi sento alla grande perché ho un lavoro, una famiglia e mi sento indipendente, il valore che apprezzo di più». E ci ha ringraziato perché questi problemi sono diffusi e le persone tendono a nasconderli.