ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

La DaD non è un bel modo di far scuola

«I nostri coetanei bocciano la Didattica a Distanza». Anche se forse qualcosa si può ancora salvare

Il 4 marzo 2020 il ministro dell’istruzione Lucia Azzolina si presentò in televisione per annunciare la “chiusura delle scuole di ogni ordine e grado fino al 17 marzo” a causa dell’emergenza sanitaria da Covid 19 , “con l’obbligo, per le scuole, di assicurare comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione”. Iniziava così il primo lockdown della scuola italiana. Doveva durare poco, ma in realtà le aule non riaprirono fino al settembre successivo. «Ricordiamo tutti molto bene – racconta Caterina – quel pomeriggio: quella notizia ci rese sul momento felici, qualcuno pensò che sarebbe stata “vacanza”, certo non avremmo mai immaginato che quella vacanza sarebbe durata così a lungo. E per la prima volta sentimmo parlare di Didattica a Distanza (o DaD), e di lezioni in “sincrono” e in “asincrono”. Come molti miei coetanei, non sapevo utilizzare be-ne software come Word o Powerpoint; qualcuno non aveva accesso a internet o non era dotato di computer o tablet, oppure non sapeva utilizzare piattaforme come Zoom o Teams necessarie per seguire le video-lezioni. Io ho cercato di portare a termine l’anno scolastico nel miglior modo possibile approfittando di alcuni aspetti positivi: avevo più tempo libero, meno pressione per le verifiche e le interrogazioni, non dovevo alzarmi presto ogni mattina per andare a scuola. Presto però ho cominciato a sentirmi triste: ero sola, mi mancava la scuola, mi mancavano i miei compagni. Qualcosa cambiò dentro di me: cominciai a sentirmi diversa dagli altri, persi autostima, mi vedevo sbagliata e non mi accettavo. È stato il periodo peggiore della mia vita».

«Io sono molto cambiata – dice Rebecca – sono più sensibile, a volte un po’ malinconica, forse perché ancora non siamo completamente usciti da questa pandemia e quindi spesso ho paura di perdere le persone che amo». «Io mi sono subito reso conto che questo sistema non funzionava – prosegue Iacopo -.

Metà del tempo se ne andava per problemi tecnici: i microfoni che non funzionavano, la telecamera che non si accendeva, la connessione che saltava o andava lenta; il programma andava avanti ma a passo di tartaruga. E poi è molto stancante e poco produttivo stare ore davanti allo schermo del computer provando a capire che cosa viene detto; ma di questo bisognava accontentarsi. Ora, per fortuna, siamo tornati in presenza, anche se un po’ di DaD me la sono fatta lo stesso: a causa della positività di un mio compagno di calcio sono dovuto rimanere a casa pure io».

«Per me la DaD non è un bel modo di fare scuola – conclude Malak – ma secondo me non lo è neanche per i prof, specialmente ora che devono stare attenti contemporaneamente agli studenti a casa e a quelli in presenza».

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