ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Forza della tradizione contro alluvione e Covid

Il nostro viaggio nelle antiche botteghe sopravvissute a due periodi molto difficili

Tante antiche botteghe di Firenze sono riuscite a sopravvivere sia all’alluvione del ‘66 sia alla crisi legata alla pandemia. Abbiamo intervistato i proprietari di alcune di queste storiche attività.

In piazza Gavinana incontriamo Mario Mazzini della bottega «Il Civaiolo», nonno di un nostro compagno. Com’è nata la sua bottega? «E’ aperta dal 1935; mio padre vendeva biada per cavalli e corde per i carri. Con mio fratello Carlo l’abbiamo rilevata nel 1965. Ora vendiamo soprattutto sementi, mangimi e altri articoli per animali». Come avete affrontato l’alluvione? «La pietra sopra all’insegna mostra fino a dove è arrivato l’Arno: l’acqua ha sommerso tutto. Ci sono voluti due mesi per tornare a vendere. Ci hanno aiutato gli angeli del fango francesi». E il Covid? «Vendendo generi di prima necessità, siamo rimasti aperti.

Ora però quasi tutti i negozi sono in crisi per il protrarsi della pandemia. Le vendite online poi sono un pericolo per le piccole botteghe. Cerchiamo di resistere con un’offerta di prodotti più specifici». Ci spostiamo in centro da Stefano Peruzzi dell’»Antica Cuoieria Fiorentina». Chi ha fondato la sua impresa? «Mio padre Rino: dopo il campo di concentramento (è tornato di 38 chili), nel ‘46 fece il pellicciaio, poi si mise in proprio come astucciaio usando una forma di legno per le scatole di cuoio. Fin da piccolo facevo delle scatoline; a 11 anni ho sostituito l’operaio delle decorazioni in oro che facciamo ancora oggi». Avete subito danni con l’alluvione? «La bottega era in un seminterrato: l’acqua ha invaso tutto. Babbo ha rischiato di affogare per salvare il cuoio. E’ riuscito a recuperare le forme di legno. Dopo l’alluvione l’impresa è stata trasferita a Borgo dei Greci. Ora vendiamo anche calzature, scarpe e altri accessori tipici come il portamonete a tacco». E con il Covid? «Reggiamo, anche se con difficoltà, grazie alla qualità del lavoro artigianale».

In via dello Studio Sandro Zecchi, proprietario del negozio di belle arti Zecchi ci mostra il lapislazzulo da cui si ricavano i pigmenti azzurri come dall’antico trattato di Cennino Cennini sulle tecniche pittoriche. Qual è la storia della vostra azienda? «Un negozio di pigmenti esisteva già nel ‘700. Come Zecchi siamo aperti dal 1956. Il nostro è anche un negozio di belle arti: i clienti sono professionisti e studenti di alto livello, soprattutto stranieri». Avete avuto danni dall’alluvione? «Solo la cantina allagata. In quel periodo eravamo anche un po’ mesticheria e vendevamo le candele, perché non c’era più la corrente elettrica». E con il Covid? «E’ stata dura, venivamo in negozio solo uno alla volta. Prendevamo le ordinazioni e un artigiano ci fungeva da corriere per rifornire i clienti».

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