ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Scuola media Leonetto Tintori di Prato (PO) - Classe 3C

Quella sera mio padre non tornò più

Giancarlo Biagini ricorda i rastrellamenti dopo gli scioperi del 1944. Da quel giorno diventò lui capofamiglia

Incontro in videoconferenza con Giancarlo Biagini, testimone indiretto delle deportazioni pratesi. Infatti suo padre, Diego Biagini, è stato uno dei pratesi deportati al campo di Mauthausen a causa dello sciopero del marzo 1944. Giancarlo ha iniziato il suo intervento facendo un ritratto dell’educazione dei giovani durante il fascismo, epoca in cui si esaltava l’alleanza con la Germania. «A scuola pompavano il fatto che l’Italia era alleata con il Paese che avrebbe governato il mondo, ma tutto ciò contrastava molto con la realtà», afferma. «Infatti si sentiva molto il peso della guerra. Le famiglie avevano difficoltà ad approvvigionarsi del cibo, la vita era difficile, non c’era acqua calda». Durante la seconda guerra mondiale Prato veniva continuamente bombardata, quindi la famiglia Biagini decise di trasferirsi a Calenzano. Aveva 13 anni quando il 7 marzo 1944 suo padre partì per andare al lavoro e quella sera non tornò a casa. «Il giorno dopo ci recammo a Prato alla fabbrica, al Commissariato, all’ospedale a chiedere notizie: nessuno ci seppe dare informazioni su cosa era successo».

Nel frattempo i Biagini avevano saputo che la loro casa era stata bombardata e «provammo la sensazione di non avere più niente, tutto era stato ingoiato dalle bombe. Non avevamo percezione di deportazione, campi di concentramento». Nel mese di giugno arrivò alla famiglia una lettera in cui si diceva che Diego Biagini era «morto sul luogo di lavoro per un’incursione nemica». Giancarlo pensa che le ragioni della morte di suo padre siano state ben altre. Dopo la scomparsa di suo padre, Giancarlo si prese la responsabilità mantenere la famiglia andando a lavorare ed a procurarsi il cibo anche nei campi. «A 13 anni appena ho dovuto sobbarcarmi il compito di mantenere una famiglia» ci racconta. Giancarlo dovette smettere di studiare e non si perita a dire che il suo unico documento ufficiale d’istruzione è la licenza di quinta elementare. Ci confessa che ha sempre sentito la mancanza di non aver potuto continuare gli studi. Dopo il passaggio del fronte «siamo rientrati a Prato con un carretto a due ruote, dove c’era tutto quello che avevamo». Giancarlo ricorda con affetto un aneddoto significativo «un giorno un soldato sudafricano -erano accampati in piazza delle Carceri – mi dette una pesca sciroppata: non l’avevo mai vista!». Entrato a 14 anni a lavorare nel Lanificio Pecci, Giancarlo ha poi avuto una brillante carriera nell’ambito della grande distribuzione e quando è andato in pensione ha dato la sua disponibilità ad Aned-Prato a ricoprire la carica di Presidente, e a raccontare, soprattutto ai giovani, la storia della deportazione pratese e del tempo di guerra.

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