ll progetto de La Nazione per i lettori di domani

Il lato oscuro della fast fashion

Ecco cosa c’è dietro le quinte della «produzione veloce ed economica» dei capi d’abbigliamento

La fast fashion, o «moda veloce», è un fenomeno che sta crescendo a vista d’occhio. Le grandi marche (H&M, Zara e altre) moltiplicano collezioni che ormai hanno vita brevissima, proponendo agli acquirenti capi a basso costo e realizzati nell’arco di qualche settimana. Le fibre sintetiche sono nettamente prevalenti perché più economiche rispetto a quelle di origine naturale. Ma cosa c’è dietro la moda «mordi e fuggi»? Inquinamento, problemi di smaltimento, di consumo delle risorse e sfruttamento del lavoro. Il 10% delle emissioni di CO² nel mondo infatti è dovuto all’industria tessile che sforna abiti spesso destinati ad essere inutilizzati: il 30% infatti rimane nei nostri armadi e un altro 30% ha una vita brevissima (in media meno di 5 utilizzi). I numeri sono spaventosi: su 26 kg acquistati da ogni cittadino in un anno, 11 kg vengono buttati. Montagne di abiti.

Ma dove finiscono? Discariche e inceneritori. Abiti bruciati anziché donati e riciclati (solo 1%).

Un’altra nota negativa della fast fashion è lo sfruttamento dei lavoratori; in particolare nel sud est asiatico, dove si trovano i 3/4 degli impiegati dell’industria tessile di tutto il mondo. I dipendenti coinvolti sono 40 milioni, ma quello che lascia riflettere è che sono per l’85% donne e bambini. In media il guadagno di un operaio della fast fashion non supera il 3% del costo del prodotto finito. Purtroppo, oltre ai salari bassi, non sono rari gli incidenti sul lavoro provocati dalle industrie che ignorano le più elementari norme di sicurezza per lucrare ancora di più. Delocalizzazione: è questa una delle tematiche più discusse del nostro secolo. Le multinazionali del nord del mondo spostano gli impianti di produzione nei Paesi dove la tassazione e il costo della manodopera sono minori rendendosi in qualche modo responsabili dello sfruttamento dei lavoratori e delle loro aspettative sul futuro. La risposta a questo fenomeno sono i Green Market dove la «Slow fashion» sposa alcuni importanti obiettivi dell’Agenda 2030. In particolare il 12esimo: «Consumo e produzione responsabili», che racchiude tutte le problematiche della «vita» di un capo di abbigliamento; e il 13esimo: «Lotta contro il cambiamento climatico» che si concentra sull’impatto ambientale e sulla sostenibilità. Dobbiamo pensare «sostenibile»: dalle materie prime al capo finito. Nell’immediato dunque la fast fashion fa risparmiare il portafoglio, tuttavia è costosissima per i lavoratori e per l’ambiente, che pagano per tutti.

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