Abdul: «La nostra fuga da Kabul»
La testimonianza di un rifugiato afghano scappato dai Talebani. L’abbiamo incontrato in classe con la moglie
Sorride Abdul, insieme a sua moglie Samia, mentre entra nella nostra classe per essere intervistato. Saluta le nostre insegnanti e si presenta: «Vengo da Kabul, dove vivevo con la famiglia, ho lavorato dal 2003 per le forze armate della Nato». Prima che i Talebani conquistassero la capitale, Abdul gestiva un negozio di attrezzature militari e riforniva la base Hkia situata nell’aeroporto «Karzai». Ha collaborato con l’esercito italiano, inviando forniture al campo militare di Herat e nel 2007 ha lavorato nella base italiana «Camp Invicta» di Kabul.
Il 21 agosto gli gli hanno detto di scappare perché i Talebani uccidevano tutti quelli che avevano lavorato per la Nato. Abdul, con la moglie e i figli, è rimasto tre giorni e tre notti davanti ai cancelli d’ingresso dell’aeroporto sovraffollato, in uno stato emotivo di grande paura. Finalmente il 24 agosto sono riusciti ad imbarcarsi. Anche se è stato difficilissimo perché i Talebani erano violenti con tutti quelli che fuggivano. Abdul racconta di essere stato picchiato con dei cavi. Tante mamme passavano i propri figli ai soldati oltre il filo spinato e molte persone si arrampicavano sugli aerei.
«Prima del loro arrivo – dice ancora Abdul – stavamo abbastan-za bene: avevamo un lavoro e una certa agiatezza economica, anche se vivevamo sempre nel pericolo…». Erano diffusi i rapimenti con richiesta di riscatto e frequenti anche gli attentati terroristici. «Un giorno, mentre guidavo la macchina, ho sentito un’esplosione vicino al Ministero della Difesa. Sono scappato verso il mercato e ovunquec’erano macerie. Ho realizzato che era stato un attacco terroristico». Gli studenti del Corano non sono tornati al governo improvvisamente, anzi sono avanzati lentamente, riconquistando il terreno piano piano. Gli Americani hanno consegnato loro un Paese allo stremo. Dopo la proclamazione dell’Emirato Islamico la situazione è peggiorata.
L’Afghanistan sta attraversando una delle peggiori crisi umanitarie ed economiche: nessuno lavora, la popolazione è vittima dell’insicurezza alimentare e le banche sono chiuse. Le donne stanno perdendo tutti i diritti che avevano acquisito. La gente non fa più vita sociale: sono state abolite tutte le festività e non è più possibile andare al cinema o ascoltare la musica. Dopo il congelamento dei finanziamenti allo sviluppo, molte strutture sanitarie non sono più operative. Rimangono le Ong. L’esecutivo attuale non ha nessun programma economico e politico. «I Talebani non sanno né governare, né pianificare…», conclude Abdul. Chi può fugge, ma molti, come il padre e il fratello di Abdul, rimangono e si arrangiano come possono. Lasciano Kabul e si rifugiano in campagna.