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Perché chiamarlo amore non si può

La violenza non va mai confusa con l’affetto. Parla Loredana Cornero, della Comunità radiotelevisiva italofona

Accade non di rado che le reti di informazione tendano a usare schemi costanti nella descrizione della violenza di genere, sminuendo le azioni dell’uomo, colpevolizzando la donna e in parte insabbiando la verità. Ne abbiamo avuto conferma esaminando in classe articoli e servizi di cronaca dedicati a femminicidi e maltrattamenti, da cui emergono forti pregiudizi.

Per capire le cause di ciò abbiamo intervistato Loredana Cornero, segretaria generale della Comunità radiotelevisiva italofona, già presidente della Commissione Uguaglianza di genere della COPEAM ed esperta dei temi legati al ruolo sociale dei media.

Quali ostacoli impediscono ancora di superare stereotipi e pregiudizi nei confronti delle donne?
«Ancor oggi esistono ferme convinzioni a livello culturale, trasmesse di generazione in generazione, che vedono la donna subordinata all’uomo e dipendente nel rapporto affettivo. La nostra società proviene da una struttura patriarcale, in cui il dominio è sempre stato attribuito all’uomo, impostando una relazione diseguale che ancor oggi causa gravi conseguenze. Un primo modo per prevenire il fenomeno della violenza sulle don-ne è riconoscere e far emergere il problema, ma ciò richiede un enorme cambiamento a livello socio-culturale».

In che modo la narrazione dei media relativa alla violenza sulle donne può portare a una «colpevolizzazione» della vittima? «I media influenzano fortemente i comportamenti sociali: con la diffusione di stereotipi di genere vanno a incrementare, in-vece di combattere, l’oppressione nei confronti delle donne.

Per questo con la Convenzione di Istanbul dell’ 11 maggio 2011 sono state adottate linee guida per sensibilizzare all’importanza di una narrazione corretta e rispettosa nei confronti delle vittime, anche se occorreranno tempi lunghi per un cambiamento profondo. Una corretta narrazione degli eventi è fondamentale per combattere la violenza di genere».

Come si può contrastare la trasmissione di stereotipi alle nuove generazioni? «La formazione può fare molto, soprattutto se rivolta alle nuove generazioni. Il metodo necessario per garantire a tutti la vera parità non è l’annullamento delle differenze, ma il loro riconoscimento e la loro valorizzazione nella società. La lotta contro gli stereotipi di genere è trasversale e richiede interventi specifici relativi all’educazione, alla divisione dei ruoli nelle famiglie e alle opportunità di studio e di carriera, per eliminare uno squilibrio che nega alle donne l’indipendenza a livello economico e di scelte di vita».

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